di MARCO FERRARI

Eccoci nel mondo prima del peccato originale, ancora intatto, unico, irripetibile, ma a rischio di sparizione. Con il fotografo Sebastião Salgado ci immergiamo nell’Amazzonia attraverso oltre 200 immagini nella mostra allestita al MAXXI di Roma sino al 13 febbraio 2022. “Sebastião Salgado. Amazônia”, nella sua prima tappa italiana, è un tuffo nel mondo degli ultimi tra la maestosità della vegetazione, la grandezza delle montagne, lo scorrere delle acque, la vita delle popolazioni indigene che la abitano e la custodiscono gelosamente, attaccati al loro modo di vivere volutamente ignari dell’evoluzione del pianeta. Eppure, a poche migliaia di chilometri da loro sorgono metropoli come San Paolo, Buenos Aires, Bogotà, Lima, Caracas, Montevideo. L’esposizione del MAXXI, in collaborazione con Contrasto, è stata curata da Lélia Wanick Salgado, compagna di viaggi e di vita del grande fotografo brasiliano, classe 1944. Dopo il progetto “Genesis”, dedicato alle regioni più remote del pianeta per testimoniarne la maestosa bellezza, Sebastião Salgado ha intrapreso una nuova serie di viaggi per catturare l’incredibile ricchezza e varietà della foresta amazzonica brasiliana e i modi di vita dei suoi popoli, stabilendosi nei loro villaggi per diverse settimane e fotografando diversi gruppi etnici. L’Amazzonia occupa un terzo del continente sudamericano, un’area più estesa dell’intera Unione Europea. Questo progetto è durato sei anni, durante i quali Salgado ha fotografato la foresta, i fiumi, le montagne e le persone che vi abitano. Registrando l’immensa potenza della natura e bellezza di quei luoghi e cogliendone, allo stesso tempo, la fragilità. Il fotografo vuole accendere i riflettori sulla necessità e l’urgenza di proteggere l’ecosistema del polmone verde del mondo insieme ai suoi abitanti. La mostra di Sebastião Salgado è divisa in due parti. Nella prima, le fotografie sono organizzate per ambientazione paesaggistica, con le sezioni che vanno dalla “Panoramica della foresta”, in cui si presenta al visitatore l’Amazzonia vista dall’alto, a “I fiumi volanti”, una delle principali caratteristiche della foresta pluviale, la grande quantità d’acqua che si innalza verso l’atmosfera. Ecco poi “Tempeste tropicali”, sempre incentrata sull’acqua, in questo caso con la sua forza devastatrice della principale regione tropicale del pianeta. La sezione “Montagne”, invece, presenta i rilievi montuosi che definiscono la vita del bacino amazzonico. Si prosegue con la sezione “La foresta”, il vero patrimonio del mondo. Infine, la sezione “Isole nel fiume” con l’arcipelago che emerge dalle acque del Rio Negro.

La seconda parte è incentrata sulle diverse popolazioni indigene, ricercate e immortalate da Salgado nei suoi viaggi. Siamo a contatto con tribù ormai minacciate dall’invadenza dei bianchi, dai siringueiros, dai cercatori d’oro e dalle fiamme appiccate al solo scopo di conquistare terreno coltivabile. Il fotografo è stato a contatto con gli Awá-Guajá, che contano solo 450 membri; gli Yawanawá, che, sul punto di sparire, hanno ripreso il controllo delle proprie terre; i Korubo, una delle tribù estreme che non vuole contatti esterni. Proprio la spedizione di Salgado nel 2017 è stata la prima occasione in cui un team di documentaristi e giornalisti ha trascorso del tempo con questa tribù, decisamente contraria a farsi contaminare dall’esterno. Oltre alle immagini, poste a diverse altezze e presentate in diversi formati, la mostra si sviluppa in spazi che ricordano le Ocas, tipiche abitazioni indigene, evocando i piccoli e isolati insediamenti umani nel cuore della giungla. La visita è accompagnata da un audio composto appositamente da Jean-Michel Jarre, ispirato ai suoni autentici della foresta, come il fruscio degli alberi, i versi degli animali, il canto degli uccelli o il fragore dell’acqua che cade dalle montagne. Quella di Salgado e della sua compagna Lélia, direttrice insieme a lui dell’agenzia di stampa fotografica Amazonas Images, è una vera missione. Ogni fotografia venduta, ogni data del tour mondiale sponsorizzato da Zurich, ogni libro stampato, incluso quello appena prodotto da Contrasto, è un passo per la salvezza delle comunità indigene del grande polmone verde. Gli oltre 200 scatti a forte contrasto bicromo, collezionati nel corso di quasi 50 spedizioni mostrano i volti e le vite di 12 tribù e la loro intensa spiritualità legata alla natura un tempo inviolabile, quel confine tra mondo naturale e mondo sviluppato che si sta sempre più assottigliando. “Ho sognato l’allestimento fatto in questo modo – ha spiegato Lélia – con molte immagini; non era semplice far emergere tutta la potenza di un tema che ci sta così a cuore. Ho fatto in modo che ai visitatori pare di entrare nella foresta, incontrandone gli abitanti, accolti nelle loro case. Anche grazie all’esigua illuminazione, la luce sembra emergere dalle fotografie e la foresta risulta viva”. L’Amazzonia occupa il 40% del territorio di tutta l’America del sud: sette milioni di chilometri quadrati di estensione. Possiede più del 60% delle foreste tropicali e concentra il 20 % di tutta l’acqua dolce del mondo. Il Brasile possiede la maggior parte di foresta, il 67%, che corrisponde a 3,2 milioni di chilometri quadrati. Negli ultimi decenni però un quarto delle foreste originali del Sud America è andato perduto. Il suolo della foresta tropicale presenta fattori curiosi, è fertile negli strati superiori e povero di elementi nutrienti negli strati inferiori. Questo è dovuto ai suoi antecedenti nella storia geologica. Durante l’era cenozoica, tutta l’area era occupata da un immenso lago che si era formato con l’innalzamento della cordigliera andina. I sedimenti rocciosi formarono il suo letto naturale. Arare la terra significa portare la polvere in superficie. L’Amazzonia è un gigante dai piedi di argilla. La selva riposa sul deserto. Diverse sono le cause della distruzione della maggiore foresta tropicale del mondo.

La prima è dovuta agli incendi appiccati con lo scopo di trasformare la foresta in campi verdi. L’88% della foresta diventa pascolo per i bovini. Tutti i pascoli sono usati per il bestiame. Per ottenere cento grammi di carne per un hamburger, si calcola che vengano abbattuti cinque metri quadrati di foresta vergine. Gli incendi degli alberi producono cenere che serve da fertilizzante per il foraggio. La redditività dell’allevamento intensivo nelle aree disboscate dura pochi anni a causa della mancanza di cicli di riposo della terra. La terra viene abbandonata e si apre un nuovo fronte di disboscamento, con ulteriori incendi. In 20 anni, solo in Brasile, sono stati distrutti 550 mila chilometri quadrati di foresta, un territorio grande come la Francia. La foresta tropicale è distrutta ad una velocità di 70 chilometri quadrati al giorno e il deserto avanza su di una superficie di 60.000 chilometri quadrati all’anno. Il tasso di deforestazione in Amazzonia è aumentato del 30% dal 2018 a oggi, secondo i dati del Programma di monitoraggio satellitare della foresta amazzonica brasiliana (Prodes) dell’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE).  La politica di Bolsonaro sta annientando la capacità del Brasile di combattere la deforestazione, favorendo chi commette crimini ambientali e incoraggiando le violenze verso popoli Indigeni e comunità forestali tradizionali. Il 25% del territorio amazzone è protetto dalla costituzione – il risultato di una lotta di antropologi, sociologi e studiosi – e un altro 25% è sotto la protezione dell’Istituto per l’Ambiente. Nei quasi dieci anni passati nella foresta Salgado è stato affiancato da un team scientifico e tecnico e dalla fondazione brasiliana FUNAI, interlocutrice di primo piano per la conversione dell’Amazzonia e la protezione degli Indios, oggi diretto da un commissario invece che da uno scienziato per colpa della miopia del governo di Bolsonaro. L’affiancamento con questi enti è del tutto spirituale: non ci sono finanziamenti esterni. “Vendo ai collezionisti e ai musei come nessun altro artista e con quei proventi Lélia e io abbiamo finanziato le 48 spedizioni da 15 persone ciascuna, spingendoci dove nessun occidentale era stato prima” racconta il fotografo brasiliano. “Le immagini in mostra - spiega ancora Salgado - coprono l’82% del territorio amazzone, cioè i territori ancora sani. Mentre i nativi americani e canadesi vivono in campi di concentramento e quelli australiani sono marginalizzati, il Brasile è un’eccezione. Abbiamo la maggiore riserva del mondo”. Salgado dice che suo figlio lavora con una delle associazioni che mediano i rapporti con gli Indios. “Stiamo lavorando insieme a lui – dice - per far accreditare alcuni membri indigeni nella delegazione brasiliana alla Cop26, la Conferenza delle Nazioni Unite per il Clima che si terrà il prossimo novembre a Glasgow, in Scozia. Abbiamo avuto contatti con il principe Alberto di Monaco e con Macron per fare posto nelle loro delegazioni. Gli uomini e soprattutto le donne dell’Amazzonia hanno una chiara cognizione di essere i custodi di una tradizione e di una cultura immensa. Io e Lélia vogliamo che siano rappresentati e vi chiediamo di schierarci con noi” conclude il fotografo.