C'era una volta il… Consociativismo. Oggi, invece, si assiste ai “Governi ammucchiata” in cui un po’ tutti i partecipanti, Partiti e Movimenti, si riconoscono contemporaneamente dentro e fuori l’attuale Esecutivo a guida Mario Draghi. E tutto questo accade perché non vi sono attualmente in campo leader carismatici, in grado di aggregare sulle loro idee politiche maggioranze coese, ideologicamente omogenee o, quantomeno, unite sui fini comuni e sugli interessi concreti. Né, d’altra parte, esistono attualmente sistemi istituzionali evoluti, che sappiano far davvero contare il voto popolare sulla scelta di chi è chiamato a governare, da un lato, e a controllare l’operato dei governi, dall’altro. E da tutto ciò segue un movimento ondivago dell’elettorato con fughe e ritorni; uno sbandamento permanente che ha come luogo privilegiato di rappresentazione tutte le pubbliche piazze fisiche e virtuali del Paese.

La ragione ultima di questo stato di cose? Uno sconclusionato regime declamatorio, in buona sostanza politicamente irresponsabile, per cui le dichiarazioni o gli impegni solenni presi il giorno prima dai leader di turno sono smentiti con le stesse modalità (tweet, post sui social) esattamente il giorno dopo. L’opinione pubblica, cioè, cessa di essere guidata e diviene essa stessa una pura Onda che tutto travolge e trasporta a valle con le sue correnti emotive, cicliche o episodiche e, spesso, irrazionali e antiscientifiche. E questa intrinseca balcanizzazione dei consensi fa sì che i leader politici, sempre provvisori e transeunti, ne inseguano gli umori anziché governarli. Nessuno di costoro, infatti, è in grado di offrire risposte ai cataclismi di una globalizzazione che ha messo a fattor comune del mondo intero disastri epocali, come pandemie e disoccupazione di massa.

Questo, d’altra parte, spiega l’ondata di riflusso di quello che soltanto tre anni fa è stato un voto di protesta di massa, che ha dato la maggioranza relativa ai sovran-populisti, fautori della spesa sociale e dell’indebitamento pubblico illimitato, nonché nemici giurati dei poteri sovranazionali di Bruxelles e di Wall Street. Il problema è, però, l’insolubilità politica del paradosso di sempre, ovvero: tutte le élite rivoluzionarie o anti-élitarie, una volta al potere, evolvono inesorabilmente nel tempo, con accelerazioni più o meno accentuate in funzione dei contesti socio-economici di riferimento, in sistemi più o meno beceri di potere autoreferenziale. Dopo di che le loro leadership, che in precedenza avevano le mani sciolte, una volta conquistata la stanza dei bottoni, si scoprono prigioniere e incatenate alle logiche dei poteri sovranazionali e alla dipendenza dalle catene di valore globale che si erano impegnati ad annientare, attraverso politiche autarchiche di autosufficienza nazionale, sia nella gestione della moneta, che degli aiuti di stato all'economia e alla produzione.

Così, con un movimento di torsione che ne ha implicato una conversione a 180 gradi, Movimento Cinque Stelle e Lega salviniana sono state costrette a fare rotta sulla difesa dell’europeismo, per convergere poi sul tanto deprecato multilateralismo, con conseguenti peana in ossequio dei G-“X”, Cop26 sul clima e via dicendo. Il tutto, però, senza il corredo e le linee guida di una strategia coerente. Tanto per esemplificare: come pensano le democrazie mature di gestire la rivoluzione globale della green economy che, inevitabilmente, è destinata a terremotare intere filiere produttive, creando vuoti allarmanti negli attuali quadri occupazionali? Che cosa faranno gli artigiani e i dipendenti impiegati nelle officine per la riparazione di veicoli a motore, una volta che si passerà esclusivamente alla trazione elettrica? E dove andranno milioni di minatori, addetti alle pompe di benzina, autotrasportatori di merci divenute non commerciabili in quanto altamente inquinanti, e così via elencando?

Ognuna di queste categorie scenderà autonomamente in piazza per rivendicare la propria sopravvivenza, ignorando il bene primario della salute della Terra? Nelle tasche di chi andranno le centinaia di triliardi di dollari previsti per le riconversioni green dell’industria, dei servizi e delle reti di trasporto? Non sarebbe il caso di pensare fin da oggi a costruire ed elaborare, almeno sul piano teorico, i paracadute in grado di attenuare la caduta occupazionale di centinaia di attività produttive ritenute inquinanti? Per esempio, nel campo delle officine per la riparazione di auto, non sarebbe il caso che pubblico e privato cooperino tra di loro per mettere in campo fin da ora altrettanta formazione avanzata, in modo che gli attuali addetti al settore si trovino in grado, al momento dello switch-off, di passare in modo soft e indolore alle tecniche di riparazione dei motori elettrici e di rigenerazione delle batterie?

Nel campo delle riconversioni energetiche, però, la politica deve assolutamente rinunciare ai suoi fin troppo estesi margini di ambiguità. Ovvero: perché tacere ancora sulla reintroduzione del nucleare sicuro di quarta/quinta generazione, con mini-centrali in grado di far funzionare ognuna una città di media grandezza? Perché non trovare il coraggio, spiegando attentamente ai cittadini elettori i numerosi vantaggi dell’iniziativa, di convocare un nuovo referendum popolare per la cancellazione della messa al bando dell’energia nucleare? Anche qui: quali sono e saranno le iniziative politiche forti, per mettere alla corda gli immensi interessi che si muovono dietro le quinte dello sfruttamento delle risorse petrolifere e del carbone? Se per ottenere l’energia-equivalente di un litro di benzina occorre posizionare un pannello solare di dieci metri quadrati, come si farà a nutrire l’umanità nei Paesi ad alta industrializzazione, se sarà necessario sacrificare allo sfruttamento dell’energia solare immensi territori sottraendoli alle colture agricole e all’allevamento?

Anche qui, si ha un’idea, per quanto vaga, della manodopera che occorrerà sacrificare per arrivare alla totale decarbonizzazione delle emissioni inquinanti di qui ai prossimi venti/trenta anni? Non è la nauseante commedia dell’arte della politica delle comari che ci salverà dalla catastrofe climatica e dai cambiamenti epocali che ci attendono. Alle prossime generazioni non importerà proprio nulla delle stucchevoli beghe sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica, né di quanto guadagna un noto politico che fa conferenze per i signori del petrolio, e via discorrendo. Né, tantomeno, interessa l’attuale fiume di parole sulle innumerevoli fratture, beghe, liti tra seconde e terze file di leaderini, a proposito di divisioni interne dei Partiti attuali, che sembrano aver perduto persino il senso della loro esistenza in vita. Alle giovani generazioni interessa, soprattutto, se avranno in futuro un lavoro e una pensione a fine attività. E in giro non si vedono figure politiche all’altezza del compito. E, invece, servono nell’immediato risposte chiare, risorse e progetti generazionali che vadano ben oltre quelle disponibili con l’attuale Piano di rinascita (ricorda qualcosa?). Chi si fa avanti?

MAURIZIO GUAITOLI