SANTIAGO (Infobae/Cristián Torres) - El líder del Frente Social Cristiano triunfó en diez de ellas, mientras que el representante de Apruebo Dignidad se hizo fuerte en la Región Metropolitana y en el extremo sur.

Los candidatos José Antonio Kast, del Partido Republicano y Gabriel Boric, del Frente Amplio, serán quienes se disputen la presidencia de Chile en la segunda vuelta electoral que se realizará el 19 de diciembre, tras obtener las mayores preferencias en la primera vuelta electoral de hoy. Con el 58,28% de las mesas escrutadas, Kast lidera con 1.109.096 votos (lo que representa el 28,5% de los sufragios), seguido por el diputado de Magallanes, quien obtuvo 960.804 votos (el 24,7% de las preferencias). Según datos entregados por el Servicio Electoral, Servel, Kast arrasa en extremo norte y centro sur, mientras que Boric triunfa en la Región Metropolitana y Magallanes.

En detalle, el líder del Frente Social Cristiano obtuvo mayoría en 10 de las 16 regiones en las que está dividido el País. Se impuso regiones de Arica, Tarapacá, del Libertador Bernardo O’Higgins, del Maule, del Ñuble, del Biobío, de La Araucanía, de Los Ríos, de Los Lagos, y Aysén. En tanto el abanderado de Apruebo Dignidad se quedó con Coquimbo, Valparaíso, la Metropolitana y su natal Magallanes. La sorpresa la dio el candidato del Partido de la Gente (PDG), Franco Parisi, -quien realizó la totalidad de su campaña por redes sociales desde Alabama, Estados Unidos- ganó en Antofagasta, mientras que Yasna Provoste logró mayoría en Atacama, región de la que proviene y en la que reside.

Según los datos oficiales, a los candidatos que estarán en el balotaje les siguen Franco Parisi (13,4%), el oficialista Sebastián Sichel (12,2%); muy cerca figura la presidenta del Senado Yasna Provoste (12,1%), seguida por Marco Enríquez-Ominami (7,6%) y Eduardo Artés (1,4%).

Las cifras anteriores se explican por varios fenómenos. En el norte del país, la migración ha generado una ola de críticas a las gestiones gubernamentales, mientras que el centro de la nación las demandas sociales son las que se tomaron el discurso de los candidatos. El tema de la violencia en la Araucanía es el que predomina en la zona sur de Chile, lo que se reflejó en la votación de los sufragantes.

Esto, por los acentos que cada candidato puso en su campaña. Kast, quien después de 20 años de militancia en el ultraconservador partido Unión Demócrata Independiente (UDI) fundó del Partido Republicano, promete imponer “orden, seguridad y libertad”. En tanto Boric, de 35 años -la edad mínima para postular a la presidencia en Chile-, propone un cambio al modelo económico neoliberal.

La sorpresa en estos comicios fue la votación obtenida por Parisi, quien figura tercero en la carrera por la presidencia del país. El economista dijo previamente que en caso de no pasar va segunda vuelta, hará una consulta online para definir a quién endosar su respaldo. El abanderado aparece primero en las preferencias en Antofagasta, y segundo después de Kast en regiones como Arica. Sin embargo, su adhesión se diluye más al centro y sur del país.

Tras el conocimiento de estos resultados, rápidamente el candidato oficialista, Sebastián Sichel, fue el primero en reconocer su derrota y anunció que se retiraría de la vida política, afirmando que “nos vamos con la frente en alto, ya le mandé las felicitaciones a Kast”, afirmando de paso que en segunda vuelta no votaría por Gabriel Boric. Luego hizo lo propio La candidata del Nuevo Pacto Social, quien admitió su derrota a través de Twiter: “Hicimos todo lo que estaba en nuestras manos [...] La centroizquierda no va a estar en la segunda vuelta”, publicó.

En Chile el voto es voluntario desde 2012 y pueden votar extranjeros con más de cinco años de residencia en el país. Analistas coinciden en que las elecciones de este domingo podrían cerrar el viejo ciclo político del país, pues los dos favoritos -y la mayoría de candidatos- son ajenos a las coaliciones con partidos tradicionales.

Los comicios de hoy son para elegir además a la mitad del Senado, la totalidad de la Cámara de Diputados y de los Concejeros Regionales, Core.

Ma avanza la destra radicale e nostalgica di Antonio Kast

di Ludovico Manzoni

Si è votato in Cile e dopo 30 anni dalla fine della dittatura del generale Augusto Pinochet, in attesa dei risultati, definitivi è chiaro che queste non sono elezioni come le altre. Per la prima volta dal ritorno della democrazia, l’Estrema Destra ha l’opportunità di tornare al potere.

Il Cile sta attraversando da anni una fase di forte agitazione e cambiamenti. Ho vissuto lì per sei mesi, nel 2018 e si percepiva una società fortemente diseguale. Le pensioni e la sanità sono private, il welfare è minimo e una parte consistente dell’economia è in mano a un ristretto oligopolio di aziende private. Il risultato, nonostante il Cile sia uno dei paesi più ricchi e sviluppati del Sudamerica, è una consistente parte della popolazione priva di protezioni sociali e spinta ai margini della società (capitava spesso di vedere per strada anziani costretti a lavorare spingendo bancarelle di cibo o di paccottiglia a poco prezzo, poiché, ti spiegavano, pur avendo più di 75 anni, la loro pensione ammontava a un centinaio di euro o poco più). Già nel 2018 ricordo una crescente tensione sociale, molte manifestazioni e un forte malcontento. Questo malcontento si è catalizzato nell’autunno del 2019, con delle proteste iniziate a Santiago del Cile, prima per manifestare contro l’ulteriore rincaro dei trasporti pubblici e presto cresciute con decine di migliaia di persone in piazza contro il governo, per chiedere migliori condizioni di vita e di affrontare le enormi disuguaglianze presenti nella società cilena.

La risposta del governo conservatore di Sebastian Piñera è stata durissima: sfruttando una norma ancora in vigore dall’epoca della dittatura pinochetista ha imposto il coprifuoco, ha invocato lo stato di emergenza e per la prima volta dalla fine della dittatura ha mandato l’esercito per le strade a reprimere la i cittadini. Una repressione dura e violenta, tanti dei miei amici cileni mi hanno raccontato di essere stati manganellati e soffocati dai lacrimogeni nonostante manifestassero pacificamente, tuttora conservo le fotografie di un mio coetaneo che mi ha mostrato i buchi causati dai 6 proiettili di gomma che l’esercito gli aveva sparato addosso.

Dopo mesi di enormi proteste a questo punto diffuse in tutto il paese, le più grandi nella storia del Cile e dopo una violentissima repressione governativa, che ha lasciato 36 morti, decine di migliaia di feriti e arrestati tra i manifestanti, centinaia di accuse di stupro e varie inchieste internazionali per violazione dei diritti umani nei confronti della polizia e dell’esercito, otto ministri si sono dovuti dimettere, tra cui quello dell’Interno. Il governo ha dovuto ritirare l’esercito e il coprifuoco e fare alcune concessioni economiche, ma soprattutto ha acconsentito alla richiesta dell’opposizione di centrosinistra di indire un referendum costituzionale, per convocare un’assemblea costituente, che riscriva la costituzione del 1980 - redatta sotto la dittatura di Pinochet - con l’obiettivo di eliminare i poteri speciali del governo ereditati dal regime (tra cui quello di invocare lo stato di assedio e dispiegare l’esercito per le strade a imporre un coprifuoco) e rivedere l’intero sistema economico dello stato.

Lo scorso ottobre il referendum costituzionale, appoggiato da tutti i partiti tranne l’estrema destra, è stato approvato con il 78% dei consensi, dando così il via al nuovo processo costituente. È stato un grande momento di speranza per il Cile, che vedeva concretizzarsi la forte volontà di cambiamento degli ultimi anni. Questa volontà di cambiamento si è estesa anche alla politica, le coalizioni tradizionali, che hanno sempre governato il paese dal ritorno alla democrazia sono in estrema difficoltà. La Nueva Mayoria, l’alleanza tra partiti centrosinistra, composta principalmente dal Partito Socialista, il Partito Cristiano Democratico, e il Partito Comunista, il Partito per la Democrazia e vari partiti minori di centrosinistra, erede di quella amplia coalizione che riuscì a battere Pinochet al Referendum Costituzionale del 1988, e a condurre il Cile al ritorno della democrazia, si è spaccata. Da un lato la parte più moderata e istituzionale con il Partito Socialista, Partito Cristiano Democratico e il partito per la Democrazia, dall’altra il Partito Comunista, che ha creato un’altra coalizione, più radicale, molto attenta alle istanze delle proteste di questi anni insieme alla nuova sinistra emersa dai movimenti, dagli indipendenti e dagli attivisti impegnati in questi anni incandescenti.

Al centrosinistra tradizionale in questi 30 anni di democrazia, si opponeva una destra, spesso fortemente liberista o conservatrice, ma comunque prevalentemente democratica, e in cui gli elementi più nostalgici e apertamente inneggianti al regime non risultavano centrali.

Oggi anch’essa è in estrema difficoltà, il presidente uscente, il conservatore Sebastian Piñera ha scampato il procedimento di impeachment che incombeva su di lui da vari mesi, per accuse di irregolarità fiscali e finanziarie emerse nella pubblicazione dei Pandora Papers e dopo essere stato approvato alla Camera è fallito mercoledì in Senato, non avendo raggiunto la maggioranza necessaria dei due terzi. Oltre alle accuse personali verso di lui, dopo la repressione delle proteste, il suo governo è diventato estremamente impopolare, con picchi di disapprovazione del proprio operato che nei sondaggi viaggiano tra il 70 e l’80%.

Questa crisi dei partiti tradizionali si è concretizzata a maggio, durante l’elezione dell’Assemblea costituente, che dovrà riscrivere la costituzione cilena. La coalizione di destra tradizionale si è fermata solo al 20% del voto, quella di centrosinistra al 15%, superata da quella di sinistra radicale con il 18%, la restante metà dell’assemblea è stata eletta tra candidati indipendenti, attivisti di movimenti, più o meno organizzati, rappresentanti delle popolazioni native. Una forte frammentazione politica che ha portato i partiti tradizionali a essere superati da un’ondata di nuovi protagonisti politici, compresi alcuni personaggi improbabili, come “Tìa Pikachu”, attivista che ha condotto tutta la campagna elettorale e si è presentata in aula con un costume del famoso Pokemon.

Questa frammentazione ha complicato molto i lavori dell’Assemblea costituente, che necessita di una maggioranza dei 2/3 per approvare una proposta di riforma (che poi andrà confermata da un ulteriore referendum) e ha fatto crescere una grande incertezza sulle elezioni, in cui si dovrà eleggere il nuovo Presidente e il nuovo Parlamento, e in cui per la prima volta dal ritorno della democrazia né il centrosinistra né la destra tradizionale sembra in grado di prevalere.

Mentre scrivo lo scrutinio è ancora aperto, ma il ballottaggio è praticamente certo, per la prima volta tra l’estrema destra e la sinistra radicale, che nello scrutinio oscillano tra i 25 e i 30 punti percentuali. Mentre i candidati dei partiti tradizionali sono entrambi molto distanziati e in forte difficolta.

Oggi, infatti, il favorito alle elezioni è il candidato dell’estrema destra Jose Antonio Kast, (che dovrebbe concludere il primo turno intorno al 28%) apertamente nostalgico di Pinochet, ha dichiarato che se il Generale fosse ancora vivo, voterebbe per lui. Politico di lungo corso, eletto per la prima volta deputato nel 2002, nel 2017 si era già candidato Presidente, arrivando quarto, con circa l’8% dei voti. Suo fratello Miguel è stato una figura importante durante la dittatura, uno dei cosiddetti “Chicago Boys” il gruppo di economisti, formati negli Stati Uniti che hanno partecipato al regime, imprimendo una forte svolta liberista al Cile, è stato più volte Ministro e Presidente della Banca Centrale, nella giunta Pinochet.

Kast è un ammiratore di Bolsonaro e dell’ex dittatore peruviano Alberto Fujimori, oggi imprigionato per i crimini contro i diritti umani commessi dal suo regime. La sua visione politica coniuga un cattolicesimo fortemente conservatore (è contrario al diritto all’aborto, ai diritti LGBT, ai movimenti femministi e persino alla legge sul divorzio) con una politica economica liberista e una dura retorica sulla sicurezza e contro l’immigrazione. Vuole diminuire la spesa pubblica e le tasse per le imprese, difendere la “famiglia tradizionale” (lui stesso è sposato da 30 anni e ha 9 figli) cilena, usare la mano dura contro le rivendicazioni territoriali delle popolazioni native e limitare al minimo l’immigrazione nel paese.

L’altro favorito è Gabriel Boric, (che andra al ballottaggio con un risultato vicino al 25% dei voti ) storico leader nei movimenti studenteschi, eletto deputato nel 2014 come indipendente, a luglio a sorpresa ha vinto le primarie di coalizione della sinistra radicale, sconfiggendo Daniel Jadue, il candidato del Partito Comunista. A 35 anni è il più giovane candidato alle Presidenziali del Cile. I cardini del suo programma sono la lotta al neoliberismo, la giustizia sociale, la parità di genere e la difesa dell’ambiente. Si dichiara femminista e dice che se eletto il suo sarà “il primo governo Ecologista della storia del Cile”, vuole chiudere le centrali elettriche a carbone e arrivare un progressivo abbandono di tutti i combustibili fossili per la produzione di energia. Boric vuole rendere pubblico il sistema sanitario e quello pensionistico e decentralizzare i poteri dello stato, devolvendo verso le regioni e le comunità locali.

I candidati dei partiti tradizionali invece si contendono il terzo posto, ma rimanendo molto staccati. Il centrosinistra candida Yasna Provoste, già presidente del Senato e più volte Ministro, esponente del Partito Cristiano Democratico, si presenta con un programma progressista ma più moderato di quello di Boric, e ha pochissime chance, riuscendo a malapena a raggiungere il 12% nello scrutinio parziale. Al 12% si ferma anche il candidato della destra tradizionale, l’indipendente Sebastian Sichel, già Presidente della Banca Centrale Cilena. Entrambi potrebbero essere superati da Franco Parisi, economista indipendente, candidato con una nuova formazione di centrodestra populista (il Partito del Popolo), che sfiorando il 13% potrebbe essere l’ago della bilancia nel secondo turno, che si svolgerà tra un mese.

Se è ormai sicuro che al ballottaggio andranno Kast e Boric, invece è estremamente incerto chi ne uscirà vincitore, con risultati differenti pronosticati dai diversi sondaggi, e un’elezione che rischia di decidersi per pochi punti di scarto. Entrambi comunque probabilmente dovranno mettersi d’accordo con le forze più moderate per legiferare, poiché se dovessero vincere le elezioni Presidenziali difficilmente le coalizioni che li sostengono potranno ottenere la maggioranza assoluta alla Camera e al Senato. Per il parlamento, infatti, gli scrutini sono ancora indietro, ma pare che verrà confermato il quadro di estrema frammentazione e calo dei partiti tradizionali. Comunque vadano a finire queste elezioni una cosa è certa, il cambiamento  tanto atteso in Cile arriverà, ma non necessariamente nella direzione sperata da molti.