Non solo Greta. Adesso tuona Vanessa. Al “terremoto“ svedese si aggiunge ora l’africana Vanessa Nakate, attivista ugandese contro il cambiamento climatico nel suo Paese.

Ha cominciato con una battaglia per la salvaguardia della foresta pluviale del Congo strillando il dovuto, con grande coraggio, nella capitale Kinshasa.

Poi ha affiancato Greta in piazza a Glasgow denunciando a gran voce il flop del Cop 26, bacchettando la Conferenza delle  Nazioni Unite definendola “un fallimento monumentale”. Va tenuta d’occhio. È una tosta.

L’anno prossimo il Cop 27 si terrà in Egitto, il Paese dei casi Regeni e Zaki. Là punteranno Greta e Vanessa.

Ma è stato un “Premio reputazionale” al presidente al-Sisi che ora se ne vanta sperando che la formidabile occasione serva “al regime per far dimenticare sparizioni, torture, processi politici e condanne a morte”.

L’annuncio pomposo lo ha fatto John Kerry, scafato inviato USA per il clima, al pre-Cop summit di Milano. Un bel regalo per il  dittatore (successore del tiepido Mansur) idolodei vescovi l copti che invece lo ritengono un argine al terrorismo.

Vanessa, la nuova icona green, si sta preparando. Da Kampala (Uganda) dove risiede, ci fa sapere che al Cairo non farà sconti a nessuno. Il bla bla dei potenti la tormenta e la indigna. Ha già accusato di inadempienze Obama, figurarsi gli altri potenti. Certo la sua Africa emette solo il 3% di anidride carbonica. Però non si chiede il perché.

Cara Vanessa, se l’Africa inquina poco è solo perché gli africani, nonostante le enormi ricchezze – una fortuna che sta arricchendo i cinesi –  non sono attrezzati. Resiste, spiace sottolinearlo, una cultura tribale che incrosta e immobilizza ogni progresso. E quando supereranno questo Everest culturale, cominceranno ad inquinare pure loro. È solo questione di tempo

A Glasgow è vero, come sostiene Greta, non è stata partorita una risposta onesta e consapevole. È stata una ammucchiata inconcludente. L’esito scozzese è stato un patetico messaggio in bottiglia disperso nell’oceano  dell’indifferenza. Le politiche di adattamento sono state lasciate alla completa discrezione nazionale e nazionalistica.

L’umanità ha messo la testa sotto la sabbia della Politica. E infatti indiani e cinesi tirano dritto. Se ne infischiano. Infatti la loro emissioni sono aumentate da 2 a 7 tonnellate all’anno (emissioni pro capite). Dato ammesso da Pechino.

Vanessa sta lavorando ad un piano che prevede frustate a quei Paesi che tardano nella decarbonizzazione. Il taglio del 45% fissato per il 2030 (e zero emissioni nette  intorno alla metà del secolo) è inaccettabile. Occorre accelerare sulla installazione di fonti energetiche rinnovabili e sulla riduzione delle centrali a carbone e dei sussidi alle fonti fossili.