di James Hansen

 

Per quanto il recente andamento della pandemia in Italia non rispecchi ancora quello dei paesi di lingua tedesca, pare possibile che per molte persone “l’esperimento” con il lavoro da casa possa o continuare oltre il previsto o - dove sembrava essere stato superato - addirittura riprendere.

Nel frattempo, sono stati completati numerosi studi sul tema. Al solito, molti di questi semplicemente confermano ciò che sappiamo già… Non sorprenderà che, in media, il 54% di coloro che partecipano alle teleconferenze con chi è in homeworking giudichi non solo la persona ma anche l’ambiente domestico in cui lavora. Ecco dunque spiegato il boom di “sfondi” digitali e il fatto che - sempre secondo la ricerca - chiunque inizi a lavorare da casa tendenzialmente decida, perlopiù entro tre mesi, di rinnovare l’ambiente che gli altri “spiano” attraverso Zoom o Skype.

Un altro studio dell’ovvio - questa volta di un’equipe australiana - riportato dal giornale scientifico Sleep Medicine, dimostra come il fenomeno dei genitori chiusi in casa a lavorare allunghi le ore di sonno dei piccoli - mediamente di quaranta minuti - ma aumenti “moderatamente” l’incidenza dei sintomi di depressione nei padri e nelle madri…

Un’altra difficoltà comunemente riscontrata nell'homeworking è la qualità dell’attrezzatura fornita dai datori di lavoro. Secondo un sondaggio condotto su duemila americani che lavorano da casa, circa due terzi hanno sentito la tentazione di buttare via il laptop “d’ordinanza” a causa delle sue scarse prestazioni. Infatti, al 62% questi impiegati affermano che gli apparecchi che gli sono stati dati riducono la loro produttività potenziale.

Detto tutto ciò, c’è una compensazione. Secondo uno studio dell’Università di Cambridge, nel corso dei diversi lockdown inglesi, chi continuava a collaborare da casa ha lavorato in media mezz’ora in meno al giorno rispetto a quanto lavorasse prima in ufficio. Ci sono però “luci e ombre”. Il più del tempo libero guadagnato è stato dedicato ai lavori di casa…