di Giorgio Merlo

Ormai è un dato di fatto. Lo dicono i sondaggisti ma, soprattutto, emerge dal concreto dibattito politico italiano. La scomposizione e la ricomposizione del quadro politico dopo il progressivo, e speriamo irreversibile, tramonto del populismo anti politico, demagogico e giustizialista dei 5 stelle, è destinato a emergere la presenza politica del "centro".

O meglio, un soggetto politico chiamato a declinare una "politica di centro". Sì, è vero. Se ne parla da molto tempo ma, come ben si sa, le condizioni politiche sono sempre imprevedibili, soprattutto in un contesto caratterizzato dal "nulla della politica", per dirla con una felice battuta di Mino Martinazzoli già alla fine degli anni Duemila.

Ora, di fronte a un quadro dove continua a prevalere una sorta di "opposti estremismi" speculari l'uno nei confronti dell'altro, è del tutto evidente che si profila all'orizzonte una posizione politica che si distingue da un lato dal massimalismo della sinistra e dal populismo del partito di Conte e di Grillo e, dall'altro, dal sovranismo della destra.

Certo, la "politica di centro" non è una rivoluzione o un cambiamento palingenetico della politica italiana. Nulla a che vedere con i populismi ricorrenti degli ultimi anni, con i partiti personali, con la sola propaganda e la conseguente demagogia. No, il soggetto politico che sta per decollare, dopo la proposta lanciata da Clemente Mastella al Teatro Brancaccio a Roma, assomiglia più a una sorta di Margherita 2.0, aggiornata e rivista come ovvio e scontato rispetto al passato. Cioè a una esperienza politica che metta al centro della sua azione il riformismo di governo. E quindi un'area politica che recupera ed esalta la cultura della mediazione, la cultura di governo, che respinge alla radice qualsiasi deriva populista e massimalista, che ricerca la sintesi tra interessi contrapposti, con un forte rispetto delle istituzioni democratiche, con una classe dirigente che non esalti l'improvvisazione e la casualità e che in ultimo, ma non per ordine di importanza, conservi la qualità della democrazia con un alto e responsabile senso dello Stato. 

Insomma, un soggetto politico che sappia recuperare e inverare nel nuovo contesto politico italiano quelle peculiarità che hanno caratterizzato le migliori stagioni politiche del passato. Senza alcuna regressione nostalgica o passatista è indubbio, però, che una presenza politica di centro si impone. E questo non solo per rilanciare un metodo, una cultura e una politica che da troppo tempo sono stati rimossi dalla concreta dialettica politica italiana ma anche e soprattutto per intercettare una domanda di competenza, di buon governo e di serietà e trasparenza della politica che sono state letteralmente spazzate via dal vento populista di questi ultimi anni.

E proprio l'avvento del governo Draghi, frutto di un sostanziale fallimento dell'azione politica dei partiti, ha determinato e in un certo modo accelerato questo processo di ricomposizione politica. È del tutto evidente, al riguardo, che non bastano le enunciazioni - seppur importanti e decisive - per innescare un nuovo processo politico nel nostro Paese. È indispensabile anche la volontà di superare le contrapposizioni personali, le frizioni tra i vari leader o chi pensa di rappresentare in modo quasi esclusivo questa rappresentanza politica, sociale e culturale. Una domanda che nella seppur frammentata società italiana resiste ed esiste e che merita, dopo la sbornia populista e profondamente anti politica, di essere intercettata e rappresentata.

Ci sono le energie, ci sono le culture di riferimento - laica, liberal democratica, cattolico popolare e sociale, verde e ambientalista - che possono e devono trasformarsi in un progetto politico. Di governo e non solo di testimonianza. Al riguardo, tutti i tentativi identitari di questi ultimi anni si sono rivelati, al di là della indubbia buona fede dei protagonisti e dei proponenti, del tutto irrilevanti e privi di qualsiasi valenza politica. Tentativi identitari che non hanno saputo oltrepassare la soglia della testimonianza e che si sono rilevati alla fine politicamente impotenti ed elettoralmente irrilevanti.

Ecco perché il progetto di una "Margherita 2.0" è destinato, senza arroganza e senza presunzione alcuna, ad avere un ruolo politico decisivo per le sorti stesse della nostra democrazia. Oltreché, come ovvio, per il governo del nostro Paese. Un luogo politico che non vuole scimmiottare il passato ma che, come ovvio, non può non recuperare quella saggezza di governo e quelle culture politiche che hanno segnato in profondità l'evoluzione della nostra democrazia e la credibilità delle stesse istituzioni democratiche.