di Fulvio Abbate

Kim Jong Un, osceno satrapo comunista nordcoreano, avrebbe imposto 11 giorni di "quaresima" nazionale, nel corso dei quali la popolazione del luogo "non potrà ridere". Un editto per rendere omaggio alla memoria del predecessore scomparso, il genitore già comandante supremo prima di lui, così fino a risalire al nonno, Kim Il Sung, dalla dinastia familiare e familista ritenuto Padre della Corea comunista, scintilla genetica fondante.

Paradossi di una tirannide assoluta, in questo caso addirittura, appunto, "comunista". Un potere ereditario per mandato feudale, divino, fossile di un'ideologia mortuaria che lì sopravvive come insetto imprigionato nell'ambra nera del delirio marxista- leninista, dottrina scandita da un pensiero paranoico mortuario, posto che Marx e Lenin ebbero mai modo di incontrarsi di persona per collazionare insieme, metti, "Il Manifesto" con le "Tesi di Aprile".

In quale mensola alta e irraggiungibile degli spettri orrifici, praxis teratologica politica, collocare quest'ennesimo, delirio della variante asiatica del trono della bandiera rossa?

Altrettanto vietato "celebrare compleanni, bere alcol, parlare a voce alta in pubblico". La Corea del Nord davvero così onora il decimo anniversario del decesso di Kim Jong Il, genitore appunto dell'attuale capo supremo Kim Jong Un. Divieto che segue la proibizione di indossare jeans, tenere i capelli lunghi, sognare d'avere lo stesso maxicappotto di pelle da bountykiller mafioso che Kim sfoggia come generale di corpo d'armata napoleonico, commissario del popolo giunto a insediarsi a Pyongyang.

"Anche se un tuo familiare muore durante il periodo del lutto, non è permesso parlare ad alta voce durante le esequie e il corpo deve essere sepolto subito dopo – raccontano voci non ufficiali - ed è vietato anche festeggiare il proprio compleanno, se cade durante il periodo di lutto". Un crimine "guastare l'atmosfera del lutto collettivo". Kim Jong Il, leader di cui si è costretti a piangere in silenzio da morgue la memoria, era succeduto al padre, fondatore della nazione socialista Kim Il Sung, alla sua morte, nel 1994. Governando il Paese fino al proprio trapasso naturale, un infarto, a 69 anni, nel 2011. A succedergli il figlio, l'Erede: Kim Jong Un, appunto.

I domani in Corea dunque "non canteranno", sia detto ribaltando l'elegia altrettanto comunista – "Les lendemains qui chantent" - già cara ai poeti ufficiali del partito a suo modo "fratello" in Europa, Aragon ed Eluard. Diremo adesso che la Francia gioiosa dei pugni chiusi sollevati nei raduni del Fronte Popolare del 1936 è lontana, per cultura e antropos, dalla Corea del Nord. Vero, eppure, per restare nel lutto, quando Picasso, nel gennaio del 1949 realizzò un ritratto di Stalin, ritenuto dagli ortodossi prosaico, forse perché umano e sorridente, anche i comunisti dell'Esagono gridarono alla vergogna.

Il pensiero tetro del comunismo che si fa Stato, sistema, codice, indice, gulag, viene dunque "da lontano e va lontano", per citare un altro adagio, in questo caso nostro, togliattiano, altrettanto virato di rosso. Sulla mensola degli orrori ufficiali e cerimoniali da "politburo" globale, per cominciare, in nome della memoria storica, metteremo allora i volti di cera fenerea dei Breznev, lassù in piedi sulla terrazza del Mausoleo di Lenin durante le parate militari della Piazza Rossa, così almeno dopo l'esilio di Trotskij, colui che sapeva comunque comprendere che accanto all'"epico" Majakovskij potesse vivere l'"intimista" Esenin. Cadaveri, salme viventi in colbacco di astrakan, a muovere la mano per salutare chi laggiù in basso sfilava. Stalin, poi, prima dei suoi successori, sembrava l'unico legittimato a fare il verso di marameo, sia pure per propaganda, affabilità da manifesto altrettanto ufficiale, allegria occasionale, come quando abbracciava Engelsina, la bimba simbolo ufficiale della presunta infanzia felice dei pionieri di una Urss invece altrove sistematicamente concentrazionaria, come piccola vedetta del Komsomol benedetta dal Piccolo Padre. Il "Conducator" Ceausescu, livida faccia da amministratore di condominio di una cosiddetta "democrazia popolare", poco prima della rovinosa Caduta, aveva addirittura commissionato uno scettro, bastone del comando dell'Autorità Socialista, a un celebre orefice parigino di Place Vendôme; sarà mai esistita la concessione del sorriso nei simulacri del potere?

Alcuni, armati di sarcasmo, proveranno ora a spiegare quest'ultimo innaturale obbligo imposto da Kim ricorrendo forse all'immagine di Ubu Re, sarcastica e immaginifica parodia d'ogni assolutismo in forma di burattino concepita da Alfred Jarry, forse. Altri, più prosaicamente, senza tuttavia allontanarsi dalla spietata complessità del discorso, potrebbero citare invece Ettore Petrolini, il suo Nerone, quando questi, rivolto a Tigellino, colpevole di avere conclusa la strofa dell'inno imperiale, pronunciando "perepò" in luogo di "perepè", gli intima di rispettare l'ordine, restando nel solenne registro ufficiale: "'A Tigellì, se vuoi fa 'perepò' fatte 'n impero pe' conto tuo!".

Forse, restando nel perimetro del diritto al riso, alla risata della gioia individuale, resta fare ritorno alla misconosciuta storia di Harvey Ball, già veterano dell'esercito Usa nel Pacifico durante la seconda guerra mondiale, eroe della battaglia di Okinawa, Ball che nel 1963 "inventò" lo "smile" per una compagnia di assicurazioni dove, ormai dismessa l'uniforme, lavorava. Harvey Bell, si legge "creò una faccia sorridente che doveva essere posta sulle scrivanie e stampata su alcuni poster da appendere al muro; lo scopo degli 'smiley' era dunque quello di accrescere il morale dei lavoratori, soprattutto se impegnati con i clienti".

Un'icona, su fondo giallo, divenuta globale, il colore dell'umore conquistato, ritrovato, approssimazione di felicità quotidiana. Così da figurare nel palmarès dei simboli tradizionali ormai ciclopici e assoluti. Non la croce, non la stella di Davide, non la falce e martello, e ancor meno la svastica, appaiono sul cippo della sua ultima dimora al Notre Dame Cemetery di Worcester, nel Massachusetts, ma proprio l'invenzione di quella sua immediata stenografia del sorriso. Che icona troveremo invece posta, un giorno, quando forse a succedergli sarà un altro erede figlio ancora, sul mausoleo di livido ghiaccio di Kim Jong Un?