di David Lazzari

Siamo nel terzo inverno della pandemia, la scienza ci ha offerto i vaccini ma nel complesso fatichiamo a leggere questa situazione con uno sguardo ampio. Si ha timore a guardare lontano, a cercare i nodi di una situazione complessa, e così amplifichiamo le incertezze di un procedere che se è esagerato definire "giorno per giorno" sembra piuttosto "mese per mese".

A guardare la storia degli ultimi secoli, e la più recente in particolare, sembra che più il presente si è velocizzato e più siamo diventati miopi, cioè incapaci di guardare lontano. I ritmi di un presente frenetico ci impediscono di scrutare gli orizzonti.

Orizzonti che sembrano senza importanza pratica per l'oggi o comunque scomodi da vedere e affrontare. Peccato che questa modalità abbia delle conseguenze che rischiano di portarci nel baratro. Basti pensare all'equilibrio ecologico del pianeta e alla progressione delle catastrofi annunciate in assenza di seri cambi di rotta. O alla difficoltà di capire l'impatto del malessere psicologico sul presente e sul futuro delle persone e della società.

Potremmo definire l'attuale una cultura del presente se non fosse che per capire l'oggi occorre non solo avere consapevolezza del passato ma soffermarsi a "cogliere" il senso di questo oggi, che contiene il suo divenire. Uno sguardo superficiale e frettoloso coglie solo delle impressioni, una superficie, dei singoli momenti. Ma le parti se non collegate da un senso, da una capacità di mettere in relazione, non fanno un insieme e un significato.

Non è un caso che oggi un termine come "benessere" è oggetto di confusione e fraintendimento. Per molti è sinonimo di "avere" molti beni e supporti materiali. Per altri è la sensazione di star bene, di sentirsi contenti. Ma il vero benessere non è quello fatto di momenti fugaci ma è quello legato alla struttura del nostro essere, cioè che tipo di persona stiamo costruendo. È un sentimento profondo e duraturo, che attraversa anche crisi, malesseri, che passa attraverso le sfide della vita, con la consapevolezza però di percorrere e strutturare una vita dotata di senso. Il benessere vero ha a che fare con la realizzazione di noi stessi.

Lo sviluppo di una società fluida ha rafforzato l'idea dell'identità personale come progetto e non come destino, ma il modello di sviluppo economico basato sul consumo ha declinato il progetto in senso sociale e competitivo. Affermo la mia identità nella performance, guardando fuori di me, proiettandomi all'esterno.

Persino il modello scolastico è sempre più improntato a trasmettere informazioni funzionali a questa identità superficiale, che somiglia a delle "istruzioni per funzionare" nella vita ma non per vivere d'avvero.

Ma l'informazione, come ci ricordano Colamedici e Gancitano, consiste nel semplice accumulo di dati, la conoscenza riguarda l'organizzazione dei dati e il pensiero è la relazione tra i dati che nasce da come la nostra psiche organizza la conoscenza.

Il "conosci te stesso" non si riferisce alle istruzioni per l'identità superficiale e neanche ad un esercizio intellettuale o per persone vocate all'introspezione. È la strada per sviluppare una psiche personale in grado di organizzare il pensiero e la conoscenza, di comprendere il senso conoscitivo delle emozioni e dei sentimenti, che sono pensieri vissuti e conoscenza pura.

Più si è in grado di organizzare il "dentro", più si è in grado di comprendere e abitare il "fuori". Perché la nostra psiche contiene in potenza il nostro essere e la saggezza del mondo. È il sedimento delle relazioni che ci ha trasmesso la nostra lunga storia evolutiva. Ed è lo strumento per capire, vivere, organizzare tutte le relazioni del nostro esistere.

Senza questa psiche siamo erranti, smarriti, confusi. Scambiamo l'avere per l'essere, la performance con la soggettività, l'informazione con la conoscenza, l'apparenza per la sostanza, e così via. Sembra che si parli tanto di Psicologia ma nella pratica si vorrebbe usarla solo come tecnica per riparare o per arricchire il libretto di istruzioni e non per far crescere la psiche delle persone, per sviluppare la conoscenza e liberare il pensiero.

Ma questo è il passaggio di cui abbiamo bisogno, la più grande lezione che possiamo apprendere dalla pandemia. Senza questo "pensiero nuovo" l'umanità non sarà in grado di affrontare i cambiamenti che ci aspettano e dei quali la pandemia è un annuncio.

La tecnologia non sarà sufficiente per vincere la sfida del futuro. Occorre tornare ad abitare il presente con uno sguardo nuovo, capace di "vedere" l'oggi e di presentire il domani. Occorre che il pensiero umano si liberi e faccia, sino in fondo, la sua parte.

Questa è la mia speranza e l'augurio per l'anno che viene.