È già possibile trarre un primo bilancio di questo importante evento della vita politica italiana che è stato l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Ci sarà tempo per chiarire chi esce dalla "contesa" vincitore è chi è stato sconfitto.
Già emerge, tuttavia, in tutta evidenza, dal dibattito che ha preceduto e accompagnato il voto del Parlamento, un dato che non può non indurre a forti preoccupazioni. Questo dato , purtroppo, è costituito dalla assoluta inadeguatezza dimostrata dalla forze politiche di fronte all'evento che le ha viste protagoniste.
Tale inadeguatezza si è manifestata in due modi: da un lato i partiti hanno rivelato l'estrema fragilità della loro struttura interna e la mancanza di autorevolezza della propria classe dirigente, come dimostra il permanente contrasto tra le loro componenti; dall'altro hanno dimostrato che, più della cura degli interessi del paese, i rispettivi comportamenti sono dettati da interessi di parte e, a volte, addirittura personali.
Crediamo di poter dire, senza tema di esagerare, che queste elezioni presidenziali hanno rappresentato per i partiti una vera e propria Caporetto.
La questione è di rilevante importanza perché, per loro natura, i partiti costituiscono l'asse portante, l'elemento fondamentale del nostro sistema democratico.
Si pongono, al punto al quale siamo giunti, due opzioni: la prima è quella di realizzare una forma di democrazia che comporti non diciamo la scomparsa dei partiti, ma il ridimensionamento del loro ruolo. Non vogliamo qui prendere posizione in favore del presidenzialismo che non si può certo considerare - basti aver riguardo alla Francia - un sistema antidemocratico.
La seconda ipotesi è quella di mettere a punto una strategia per rigenerare le forze politiche e restituire loro quell'appeal nei confronti dell'opinione pubblica che sembrano aver del tutto perduto, come rivela, tra l'altro,il crescente distacco dei giovani, sempre meno attratti dalla eventualità di indirizzarsi verso una carriera politica che è ormai riservata a portaborse, galoppini e profittatori che certo non contribuiscono a nobilitarla.
C'erano una volta le "scuole di partito" che avevano la funzione di preparare una classe politica non improvvisata e che avevano, per i giovani, una capacità di attrazione. Ma di queste "scuole" se n'è persa ogni traccia.
Lo sfaldamento dei partiti - sia chiaro - non ci induce a rimpiangere il "monolitismo" del partito comunista. Ma quanto accaduto nelle elezioni presidenziali, fanno auspicare la fine di contrasti ch spesso si rivelano paralizzanti per dar vita a quella che potremmo definire una reale "stagione del confronto".
Ma il confronto, che è proprio l'opposto del monolitismo, presuppone la ricerca di un obiettivo legato al superiore interesse del paese. Questo obiettivo, che dovrebbe essere comune, non sembra esistere. Ciascuno pensa al proprio interesse, alla propria "bottega".
Ci sia consentita un'ultima notazione. Abbiamo assistito, in questi giorni, a interminabili trasmissioni televisive sulle elezioni a Montecitorio. Politici e giornalisti hanno dato vita ad un estenuante "bla bla bla". E ci vien da pensare che, non a caso, Benedetto Croce diceva che il degrado della politica e del giornalismo avviene in assoluto parallelismo.
Ottorino Gurgo