(foto depositphotos)

di Antonio Saccá

Romolo è un re guerriero, e alla sua morte nella Roma antica si vive un periodo drammatico. Romani e Sabini si scontrano per il mantenimento o l'abolizione della monarchia, e queste lotte confermano l'organizzazione monarchica. Viene eletto un "pio" sabino, Numa Pompilio. Regnerà dal 715 a.C. al 673 a.C., era nato nel 754 a.C. L'alone di mistero che circonda la figura di Romolo rende impossibile scindere l'attribuzione di informazioni leggendarie da quelle storiche, mentre Numa sembra più accertabile. È il Re della pace, infatti per quaranta anni il tempio di Giano, che veniva aperto durante le guerre, restò chiuso. Non fu soltanto un sovrano pacifico, ma anche un deciso riformatore della religione. Al re sabino si attribuiscono l'istituzione del calendario in dodici mesi e molteplici nuovi sacerdozi, sia per gli uomini sia per le donne. Per quest'ultime fondò l'ordine delle Vestali: delle ragazze pure, che avevano il compito di custodire il fuoco sacro nel Tempio di Vesta. Esse venivano condannate a morte se non mantenevano la verginità.

Le donne si trovavano in una condizione subalterna: non potevano ricoprire cariche pubbliche, dovevano comportarsi in modo riservato e del tutto privo di iniziativa in assenza del coniuge. Numa aggiunse alla venerazione di Giove e di Marte quella del dio Quirino, armonizzò le divinità romane con quelle sabine e concepì il dio Giove Terminalis, al quale vengono consacrati i confini delle proprietà pubbliche e private. Inoltre sentenziò che gli dei non potevano avere forme animali e fondò l'ordine dei Pontefici, con a capo il Pontefice Massimo, che vigilava sulla moralità del regno. Divise giorni tra fausti e infausti, durante i quali non bisognava trattare nessun affare. creò l'ordine dei Feziali, che era addetto a cercare la pace e, solo come ultima risorsa, ricorrere alla la guerra. Il collegio dei Salii soprassedeva sul tempo di pace e scandiva il passaggio al periodo di guerra. Durante la festa dei Saturnali si permetteva agli schiavi di banchettare insieme al padrone e concedeva ad essi licenza di agire e parlare liberamente in quelle circostanze.

Numa Pompilio, vedovo della moglie Tazia, sposa una ninfa, Egeria, sua consigliera in merito a queste considerevoli riforme da lui perpetuate (o comunque attribuitegli), che organizzano la religione della Città. Anche questo è un elemento consueto delle religioni: i loro princìpi vengono ispirati dalle divinità. Pur non dubitando dell'esistenza di Numa Pompilio, è difficile stabilire se tutto quest'operato sia da attribuire a lui. Si crede che comunque la serie di atti che ordinano l'intero campo della religione è da collegare ad un'unica persona. È necessario ripetere che, in quel periodo, non esisteva manifestazione alcuna che si sottraesse a presunti interventi divini, che non dovesse rispettare delle regole ben precise (pena l'indisposizione degli dei), o che non fosse soggetta ad interpretazione favorevole o sfavorevole.

È una forma mentis comune a tutta l'antichità, e del resto non ne siamo immuni tutt'oggi, in un'epoca che si dichiara "scientifica". Il bisogno di supporre che taluni comportamenti rispettosi di regole avrebbero cagionato bene e che il male veniva generato dall'infrazione di regole ben definite dava origine a rituali di osservanza, al timore della trasgressione, anche se non vi era alcun rapporto conseguenziale tra l'atto umano e l'evento avvenuto. Poniamo che una sconfitta in guerra sia stata dovuta all'inferiorità bellica: se, prima della battaglia, il responso delle interiora di uccelli era stato sfavorevole, da quel momento in poi si diventerà scrupolosissimi nell'osservanza di questo rito, stabilendo una relazione tra comportamento umano e le conseguenze, del tipo: se fai certi riti, tutto ti andrà bene, anche se certamente non è per questo che la battaglia fu perduta.

Gli dei romani derivano pressoché tutti da quelli greci, anche se romanizzati nella denominazione e talvolta nelle attribuzioni. Sovrasta Jupiter, Giove (Zeus), a cui viene dedicato un Tempio in Campidoglio. Gli altri dei, Venere, Minerva, Marte, Vulcano, Diana, Bacco (Dioniso), Cerere (Demetra)... nella loro versione latina, mantengono le caratteristiche greche. I romani inoltre davano molto rilievo agli dei familiari, i Lari e i Penati. La monarchia era di stampo fortemente religioso, e gli uomini politici assumevano addirittura cariche spirituali. Non esisteva minima separazione tra stato e religione: il primo era compreso della seconda. Difatti il cittadino romano seguiva alla stessa stregua le leggi civili e i rituali. L'esistenza di un cittadino del regno che, in quel periodo, non praticasse la religione romana, è da considerare impensabile. È pur vero che i romani non giudicavano in maniera ostile chi venerava dei diversi. È l'avvento del Cristianesimo che, con il suo spiccato proselitismo, intende convertire gli altri alla "salvezza". Da questo momento in poi la religione si fa universalistica, e viene separata dallo Stato.

L'impero

Quanto detto vale per l'intera epoca della Repubblica, dal 510 a. C. all'Età di Cesare e di Augusto. I confini di Roma durante l'epoca repubblicana si estendono per tutto il Mediterraneo. Penetrando, dopo la Grecia, anche in Egitto, la compagine romana incontra altre civiltà e religioni, anzi ne è invasa. Per prima la devozione egiziana ad Iside e Sarapide (Osiride): culto misterico, iniziatico, ovvero che aveva in sé dei "misteri" non conoscibili da tutti, di solito riguardanti argomenti come la morte e la rinascita. Anche i greci vantavano culti misterici (Orfici, Eleusini). Ebbe grande importanza poi la venerazione del dio del sole indoiranico, Mitra. I fedeli venivano organizzati per gradi, secondo la maggiore conoscenza dei "misteri". Questa pratica fu diffusissima tra le file dell'esercito. I seguaci celebravano i riti e consumavano il proprio pasto in luoghi sotterranei, detti i mitrei. Mitra era l'eroe uccisore del Toro Cosmico, il cui sangue dava la vita.

Con l'avanzare del tempo, una miriade di maghi, indovini, di superstizioni di ogni genere insidiavano la religione antica. Dal regime di Diocleziano in poi, forse per legittimare la religione di stato, l'Imperatore venne reso un dio in terra. L'Impero Romano fu sontuosissimo, ma anche corrottissimo, immoralissimo, crudelissimo. L'esistenza era in balia degli eventi. Roma prendeva dai popoli sottomessi schiavi, beni, oro, marmi. I ricchi si ammantavano di abitazioni strabilianti perfino per l'umanità futura e il popolo, per quanto possibile, viveva in una situazione di relativa tranquillità. In ogni caso, veniva intrattenuto dagli Imperatori con spettacoli, spesso efferati. Non ci fu limite nel voler stupire e catturare il popolino. Molti si immergevano in questa ebbrietà mortifera e scatenata, altri cercavano un'esistenza virtuosa con la speranza, almeno, di un sereno aldilà.

È qui che fu concepito un nuovo Dio, un Dio per gli infelici. Un Dio che non dà guerra, non reagisce al male, soccorre i poveri, promette gioia in un altro mondo a chi, in questa vita, è derelitto. Questo Dio arriva a tal punto da inviare suo figlio in terra e lo sacrifica per mostrare ai perseguitati che egli è con loro. Questo figlio, straziato per farsi compagno dei tanti derelitti, ha per nome umano Gesù Cristo. Da lui proverrà il Cristianesimo, e i nostri millenni ne risuoneranno, e forse ne rimbomberanno finché esisterà l'uomo. Il paganesimo è capovolto, gli dei non affiancano più l'uomo nella passione per la vita, vi è un Dio nuovo, compagno nella dolorosità del vivere. D'ora in avanti Roma avrà un altro Impero: Cattolico Romano.Romolo è un re guerriero, e alla sua morte nella Roma antica si vive un periodo drammatico. Romani e Sabini si scontrano per il mantenimento o l'abolizione della monarchia, e queste lotte confermano l'organizzazione monarchica. Viene eletto un "pio" sabino, Numa Pompilio. Regnerà dal 715 a.C. al 673 a.C., era nato nel 754 a.C. L'alone di mistero che circonda la figura di Romolo rende impossibile scindere l'attribuzione di informazioni leggendarie da quelle storiche, mentre Numa sembra più accertabile. È il Re della pace, infatti per quaranta anni il tempio di Giano, che veniva aperto durante le guerre, restò chiuso. Non fu soltanto un sovrano pacifico, ma anche un deciso riformatore della religione. Al re sabino si attribuiscono l'istituzione del calendario in dodici mesi e molteplici nuovi sacerdozi, sia per gli uomini sia per le donne. Per quest'ultime fondò l'ordine delle Vestali: delle ragazze pure, che avevano il compito di custodire il fuoco sacro nel Tempio di Vesta. Esse venivano condannate a morte se non mantenevano la verginità.

Le donne si trovavano in una condizione subalterna: non potevano ricoprire cariche pubbliche, dovevano comportarsi in modo riservato e del tutto privo di iniziativa in assenza del coniuge. Numa aggiunse alla venerazione di Giove e di Marte quella del dio Quirino, armonizzò le divinità romane con quelle sabine e concepì il dio Giove Terminalis, al quale vengono consacrati i confini delle proprietà pubbliche e private. Inoltre sentenziò che gli dei non potevano avere forme animali e fondò l'ordine dei Pontefici, con a capo il Pontefice Massimo, che vigilava sulla moralità del regno. Divise giorni tra fausti e infausti, durante i quali non bisognava trattare nessun affare. creò l'ordine dei Feziali, che era addetto a cercare la pace e, solo come ultima risorsa, ricorrere alla la guerra. Il collegio dei Salii soprassedeva sul tempo di pace e scandiva il passaggio al periodo di guerra. Durante la festa dei Saturnali si permetteva agli schiavi di banchettare insieme al padrone e concedeva ad essi licenza di agire e parlare liberamente in quelle circostanze.

Numa Pompilio, vedovo della moglie Tazia, sposa una ninfa, Egeria, sua consigliera in merito a queste considerevoli riforme da lui perpetuate (o comunque attribuitegli), che organizzano la religione della Città. Anche questo è un elemento consueto delle religioni: i loro princìpi vengono ispirati dalle divinità. Pur non dubitando dell'esistenza di Numa Pompilio, è difficile stabilire se tutto quest'operato sia da attribuire a lui. Si crede che comunque la serie di atti che ordinano l'intero campo della religione è da collegare ad un'unica persona. È necessario ripetere che, in quel periodo, non esisteva manifestazione alcuna che si sottraesse a presunti interventi divini, che non dovesse rispettare delle regole ben precise (pena l'indisposizione degli dei), o che non fosse soggetta ad interpretazione favorevole o sfavorevole.

È una forma mentis comune a tutta l'antichità, e del resto non ne siamo immuni tutt'oggi, in un'epoca che si dichiara "scientifica". Il bisogno di supporre che taluni comportamenti rispettosi di regole avrebbero cagionato bene e che il male veniva generato dall'infrazione di regole ben definite dava origine a rituali di osservanza, al timore della trasgressione, anche se non vi era alcun rapporto conseguenziale tra l'atto umano e l'evento avvenuto. Poniamo che una sconfitta in guerra sia stata dovuta all'inferiorità bellica: se, prima della battaglia, il responso delle interiora di uccelli era stato sfavorevole, da quel momento in poi si diventerà scrupolosissimi nell'osservanza di questo rito, stabilendo una relazione tra comportamento umano e le conseguenze, del tipo: se fai certi riti, tutto ti andrà bene, anche se certamente non è per questo che la battaglia fu perduta.

Gli dei romani derivano pressoché tutti da quelli greci, anche se romanizzati nella denominazione e talvolta nelle attribuzioni. Sovrasta Jupiter, Giove (Zeus), a cui viene dedicato un Tempio in Campidoglio. Gli altri dei, Venere, Minerva, Marte, Vulcano, Diana, Bacco (Dioniso), Cerere (Demetra)... nella loro versione latina, mantengono le caratteristiche greche. I romani inoltre davano molto rilievo agli dei familiari, i Lari e i Penati. La monarchia era di stampo fortemente religioso, e gli uomini politici assumevano addirittura cariche spirituali. Non esisteva minima separazione tra stato e religione: il primo era compreso della seconda. Difatti il cittadino romano seguiva alla stessa stregua le leggi civili e i rituali. L'esistenza di un cittadino del regno che, in quel periodo, non praticasse la religione romana, è da considerare impensabile. È pur vero che i romani non giudicavano in maniera ostile chi venerava dei diversi. È l'avvento del Cristianesimo che, con il suo spiccato proselitismo, intende convertire gli altri alla "salvezza". Da questo momento in poi la religione si fa universalistica, e viene separata dallo Stato.

L'impero

Quanto detto vale per l'intera epoca della Repubblica, dal 510 a. C. all'Età di Cesare e di Augusto. I confini di Roma durante l'epoca repubblicana si estendono per tutto il Mediterraneo. Penetrando, dopo la Grecia, anche in Egitto, la compagine romana incontra altre civiltà e religioni, anzi ne è invasa. Per prima la devozione egiziana ad Iside e Sarapide (Osiride): culto misterico, iniziatico, ovvero che aveva in sé dei "misteri" non conoscibili da tutti, di solito riguardanti argomenti come la morte e la rinascita. Anche i greci vantavano culti misterici (Orfici, Eleusini). Ebbe grande importanza poi la venerazione del dio del sole indoiranico, Mitra. I fedeli venivano organizzati per gradi, secondo la maggiore conoscenza dei "misteri". Questa pratica fu diffusissima tra le file dell'esercito. I seguaci celebravano i riti e consumavano il proprio pasto in luoghi sotterranei, detti i mitrei. Mitra era l'eroe uccisore del Toro Cosmico, il cui sangue dava la vita.

Con l'avanzare del tempo, una miriade di maghi, indovini, di superstizioni di ogni genere insidiavano la religione antica. Dal regime di Diocleziano in poi, forse per legittimare la religione di stato, l'Imperatore venne reso un dio in terra. L'Impero Romano fu sontuosissimo, ma anche corrottissimo, immoralissimo, crudelissimo. L'esistenza era in balia degli eventi. Roma prendeva dai popoli sottomessi schiavi, beni, oro, marmi. I ricchi si ammantavano di abitazioni strabilianti perfino per l'umanità futura e il popolo, per quanto possibile, viveva in una situazione di relativa tranquillità. In ogni caso, veniva intrattenuto dagli Imperatori con spettacoli, spesso efferati. Non ci fu limite nel voler stupire e catturare il popolino. Molti si immergevano in questa ebbrietà mortifera e scatenata, altri cercavano un'esistenza virtuosa con la speranza, almeno, di un sereno aldilà.

È qui che fu concepito un nuovo Dio, un Dio per gli infelici. Un Dio che non dà guerra, non reagisce al male, soccorre i poveri, promette gioia in un altro mondo a chi, in questa vita, è derelitto. Questo Dio arriva a tal punto da inviare suo figlio in terra e lo sacrifica per mostrare ai perseguitati che egli è con loro. Questo figlio, straziato per farsi compagno dei tanti derelitti, ha per nome umano Gesù Cristo. Da lui proverrà il Cristianesimo, e i nostri millenni ne risuoneranno, e forse ne rimbomberanno finché esisterà l'uomo. Il paganesimo è capovolto, gli dei non affiancano più l'uomo nella passione per la vita, vi è un Dio nuovo, compagno nella dolorosità del vivere. D'ora in avanti Roma avrà un altro Impero: Cattolico Romano.