Caitriona Balfe (left) stars as "Ma" and Jude Hill (right) stars as "Buddy" in director Kenneth Branagh's BELFAST, a Focus Features release. Credit : Rob Youngson / Focus Features

E poi c'è la pandemia, un tempo che ha indotto tutti a fare una pausa sul futuro e piuttosto riflettere sul passato non senza nostalgia. È questo un doppio filo che lega i film di registi protagonisti degli Oscar: Belfast di Kenneth Branagh, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino e The Fabelmans di Steven Spielberg. Quest'ultimo, in fase di post produzione, girato durante il lockdown, è un film sull'infanzia di Sammy Fabelman (Gabriel LaBelle) che cresce in Arizona - il regista è cresciuto nella capitale Phoenix - con uno zio (Seth Rogen) che ha un ottimo rapporto con il ragazzo e una madre premurosa (Michelle Williams). Spielberg lo cova dal 1999 ma solo in questo ultimo anno ha ripreso a scrivere un copione dopo vent'anni, non lo faceva infatti dai tempi di AI - Intelligenza Artificiale. Con un cast che comprende tra gli Paul Dano, David Lynch, THE FABELMANS è uno sguardo indietro alle radici creative del regista candidato per West Side Story e un omaggio all'influenza avuta dallo zio su di lui da ragazzo.

Writer/director Kenneth Branagh's BELFAST, a Focus Features release. Credit : Rob Youngson / Focus Features

Con nomination a sette premi Oscar, inclusi miglior film, miglior regia e sceneggiatura originale (in sala in Italia dal 24 febbraio con Universal, presentato alla scorsa Festa del Cinema di Roma in una coproduzione Festa del Cinema e Alice nella città) anche BELFAST è quello che in gergo si definisce film di formazione, 'coming age': "È il film più personale che abbia mai realizzato. Parla di un posto e della gente che amo", ha detto Branagh, nelle sale con Assassinio sul Nilo. Nato il 10 dicembre 1960 a Belfast, figlio di genitori protestanti della classe operaia nella zona di Tigers Bay, all'età di nove anni, si trasferì con la sua famiglia a Reading, nel Berkshire, in Inghilterra, per sfuggire ai Troubles, ossia al conflitto nord irlandese che proprio in quegli anni cominciava violentemente. In Inghilterra cambiò il suo accento per evitare di essere bullizzato come irlandese, qualcosa che lo ha cambiato per sempre. "Mi sento irlandese. Non penso che tu possa togliere Belfast da un ragazzo", ha detto il regista diventato famoso a teatro proprio per i ruoli shakespeariani in perfetto accento brit. Belfast è il suo omaggio alla città natale, a quelle strade diventate improvvisamente terreno di scontro dove un attimo prima si tiravano calci al pallone. Un film in bianco e nero pieno di tenerezza, poesia, musica, persino allegria nonostante tutto un mondo che cambiava in peggio e questo grazie ad una storia così autentica da incantare con un cast decisivo a partire dal giovanissimo esordiente Jude Hill di appena 10 anni, ai genitori (la candidata al Golden Globe snobbata alle nomination Caitríona Balfe e Jamie Dornan) e ai nonni entrambi candidati alle statuette: vale a dire Judi Dench e Ciarán Hinds). E poi c'è il nostro Sorrentino. 

È STATA LA MANO DI DIO, candidato a miglior film internazionale agli Oscar (oltre che ai Bafta inglesi) è la storia della sua adolescenza nella Napoli degli anni '80, della Maradona mania. Un film che più personale di così non si potrebbe, in un certo senso terapeutico, un film che prova a elaborare il dolore per la perdita tragica dei genitori, a 17 anni in quella fase adolescenziale in cui non è ancora certa la strada. Ironia e dolore, spensieratezza e futuro per chiudere i conti con un passato e superarlo rifacendo tutto a ritroso. Sorrentino ha girato nella città della sua adolescenza, persino nel suo palazzo, con il set giusto un piano sotto, raccontando al suo alter ego Fabietto (Filippo Scotti) tutta la sua esperienza e cercando in Toni Servillo, il suo attore feticcio e nel regista Antonio Capuano che lo aveva spronato a 17 anni, una sorta di benedizione. Un'autenticità sofferta che lo sta portando di nuovo dopo La Grande Bellezza dritto a Los Angeles il 27 marzo.