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di Franco Esposito

La religione dei boss. I summit dei clan in chiesa. Dove i camorristi avevano libero accesso, "il prete ci dava le chiavi", la testimonianza è di un pentito. L'indagine della Dda ha appurato che "le rette pagate alle associazioni religiose gestite dai boss erano il pizzo". Udite udite, la sacrestia è il luogo deputato per le riunioni. 

L'allarmante scenario è descritto nell'ultima ordinanza della Procura di Napoli: smantellati undici altarini dedicati ad altrettanti capi zona di Secondigliano. Omertà e sacche di connivenze appaiono in tutta la loro evidenza alle spalle di quegli altarini. Uno eretto addirittura sulle mire dell'Acquedotto romano dei Ponti Rossi.

Il parroco concedeva, per decenni, il permesso di frequentare la sacrestia con irrisoria facilità. Ad uso esclusivo della suocera del capoclan con tanto di targa a devozione ai camorristi e il placet dei delegati della curia. Le chiavi finivano nelle mani di affiliati alla camorra. Le processioni per la Madonna utilizzate come mezzo per chiedere il pizzo ai commercianti. Le rette da pagare ad associazioni religiose come racket. Un volgare pretesto e punto.

Le parrocchie alla mercè degli affiliati ai clan camorristici. Edicole votive con immagini religiose mischiate a foto di carcerati o di delinquenti morti ammazzati. Quanto di peggio, anche se ingegnoso nella sua perfidia. Processioni della Madonna dell'Arco con bandiere e labari raffiguranti i volti dei capoclan. Potevano vederlo tutti, invece c'è chi ha fatto finta di niente. Ha visto e taciuto. La moltitudine di struzzi con la testa nascosta ad arte nella sabbia. 

Contro questo enorme muro di indifferenza si è battuto con grandissima energia l'arcivescovo di Napoli, Mimmo Battaglia. L'inchiesta ha portato allo smantellamento degli altarini tra l'Arenaccia e San Carlo all'Arena, sotto la spinta di una segnalazione del giornale Il Mattino. "Nel palazzo di Ninella Aieta, madre di Rita, Maria e Anna, ci sono tre statue del Seicento. Le tre donne sono sposate con tre boss che reggono il cartello dell'Alleanza di Secondigliano: Edoardo Contini, Patrizio Bosti, Francesco Mallardo". 

Sul posto, i carabinieri del Nucleo investigativo hanno trovato le tre statue originariamente custodite nella chiesa del Rosariello e poi a piazza Ottocalli. 

I tre sostituti procuratori – Alessandra Conversano, Ida Teresi e Antonella Serio – qualche domanda se la sono fatta. "Come è possibile che tre statue di pregio fossero da anni nella disponibilità della suocera dei tre capoclan?". Da qui l'avvio di una articolata indagine, che ha potuto contare anche della testimonianza di un collaboratore di giustizia, Teodoro De Rosa, ex affiliato del clan Contini. Il pentito ha consentito agli inquirenti di fare completa luce sui rappori trentennali tra alcuni parroci e gli esponenti di vari clan. 

I camorristi avevano stabilito una solida intesa con i rappresentanti della Chiesa. Il pentito De Rosa ha spiegato ai tre pm come funzionava l'alleanza perversa con i parroci. "Un quindicina di anni fa, tale Don Gaetano, del rione Amicizia, in chiesa ci faceva addirittura le riunioni del clan. Ci dava le chiavi della chiesa di piazza Ottocalli, dove si tenevano vari appuntamenti di camorra. Una volta io stesso ho accompagnato il boss Patrizio Bosti a un appuntamento con Giuseppe Ammendola, alla chiesa di San Giovanni e Paolo". 

Le dichiarazioni di De Rosa hanno consentito l'individuazione degli altarini smantellati lunedì da carabinieri e polizia municipale. I magistrati antimafia hanno poi voluto vedere chiaro a trecentosessanta gradi. La raccolta di documenti testimonia in  maniera lampante "il silenzio-assenso di alcuni parroci nei confronti dei clan". 

Ma la vicenda parallela delle statue? La Procura l'ha ricostruita da cima a fondo. L'origine è datata 1994. Parroco della chiesa del Rosario, Don Cristoforo Rota si dimette per limite d'età e redige una inventario dettagliato dei beni presenti nella sua parrocchia. Tra questi, le statue del Seicento. Affida il tutto al parroco della chiesa di piazza Ottocalli, Don Mario D'Orlando. La chiesa del Rosario viene chiusa definitivamente nel 1995 e diventa la sede dell'Associazione Madonna dell'Arco.

Chi c'è tra gli associati? Michele Aieta, affiliato del clan Contini. E proprio nel corso di quell'anno compaiono le targhe sulle statue del Seicento. Una porta la scritta "a devozione Rita e Patrizio Bosti – 15/10/1995"; su un'altra, "a devozione Anna e Franco Mallardo". 

Anni dopo, il parroco Don Ciro Marino scrive all'attuale vescovo ausiliare di Napoli, Monsignor Lucio Lemmo: "In seguito a un sopralluogo effettuato nella fatiscente chiesetta risultano mancanti le tre statue del Seicento". I fedeli informano Don Marino: le tre opere sono state trasferite all'interno dei locali di un'associazione riconosciuta dalla diocesi gestita da Ninetta Aieta. 

Il parroco fa richiesta di restituzione delle statue. La risposta? Questa: la suocera del boss, dopo un iniziale netto rifiuto, accetta di restituire le statue. Festa finita? Neppure per sogno. Don Ciro Marino fa la cronaca dei fatti: "Dopo qualche giorno dalla riconsegna ricevetti la visita del delegato della curia, Fabio Aimone, che mi chiese di riconsegnare le statue all'associazione rappresentata dalla signora Aieta". Accordo siglato con firma e timbro del parroco e una croce da parte di Aieta, analfabeta. 

Bisognerebbe capire, a questo punto, perchè un delegato della curia abbia fatto pressioni sul parroco al fine di concedere le statue a un'associazione retta dalla suocera del boss, di 88 anni. Le statue sono poi servite per numerose processioni che fanno tappa davanti alle edicole votive erette dai capizona dei clan, Il pentito De Rosa è stato esaustivo anche su questo punto. "Ogni altarino indica che quando c'è una processione i soldi raccolti vanno alle famiglie del mafioso che ha eretto l'edicola votiva" Commercianti e condomini devono versare obbligatoriamente il pizzo perchè sono costretti a iscriversi all'associazione religiosa "e per questo pagano una quota fissa, poi devono versare la questua in occasione di ogni processione". 

Statue e immagini religiose servono  - e non ad altro - ai boss per ribadire il dominio del clan sul territorio. Ma nessuno parla, fatti loro.