di Gianni Riotta

 

Perché la classe dirigente europea, politici, diplomatici, imprenditori, accademici, media, segnatamente nel nostro paese, è stata colta di sorpresa dall’invasione russa in Ucraina? Il presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin, occorre dargliene atto, aveva in modo esplicito annunciato i piani di attacco, che a Palazzo Chigi chiamano “Decisione” e a Kiev “Guerra”. Il record storico, Cecenia, Georgia, Siria, Donbas, Crimea, Ossezia ne annunciava la mancanza di scrupoli per l’azione militare, quando gli interessi del Cremlino gli sembrano a rischio.

Non si tratta, come qualcuno presume, di ignoranza, tutto al contrario ci sono esperti di lunga esperienza, uomini e donne di azienda che, da sempre, commerciano all’Est, docenti versati nella materia e corrispondenti capaci di ricordare i Niet del ministro degli Esteri sovietico Gromyko e le, sfiorite, speranze di Gorbaciov.

Putin agisce su un differente piano psicologico, il morboso desiderio europeo di mantenere lo status quo postbellico che ha portato al continente ottanta anni di pace, una prosperità unica nella storia, l’ombrello della difesa Usa, pagato dai contribuenti americani, mentre i nostri sostenevano pensioni, sanità, welfare, scuola pubblica, non versando alla Nato neppure lo stento 2% del Pil, promesso nel 2006. L’Europa non sente il rombo dei cingolati nel gelo ucraino, perché gli anni del boom, settimana bianca, Club Med, sicurezza sociale, qualche sera davanti ai talk show a deprecare le avventure militari Usa o una bandiera della pace al balcone, sono stati splendidi e lasciarli per la realtà del XXI secolo pesa.

Ora il presidente americano Joe Biden, che considera Putin “un killer”, annuncia nuove sanzioni, e di nuovo, gli europei borbotteranno che saranno le nostre aziende e le nostre famiglie a pagare, a suon di energia elettrica e bollette. L’Europa le applicherà, vero, il cancelliere tedesco Scholz e la ministro degli Esteri Baerbock sono più tosti della Merkel con Mosca, i tempi cambiano, e forse cancelleranno perfino lo spericolato gasdotto Nord Stream 2, venduto dal piazzista di Putin, l’ex cancelliere Schroeder. Ma, con il leader della Lega Salvini, tanti protestano, chiedendo eccezioni, riduzioni, ammollienti e anche a sinistra, nel Pd, corrono sentimenti neutralisti, eredi di vecchie culture, mentre in Forza Italia il puntinismo è tradizione.

L’idea dominante, guardate i sondaggi, è, che ce ne importa degli ucraini, Putin rimetta in piedi una Unione Sovietica dei poveri, e noi ripartiamo con l’economia post Covid. In realtà anche negli Stati Uniti non spira aria di Guerra Fredda II, anzi. La metà dei cittadini condivide l’umore europeo, nessuna guerra contro Mosca e sanzioni, magari, ok, ma a patto che non costino un cent all’economia interna o rialzino la già rampante inflazione. La destra del partito repubblicano, fedele all’ex presidente Trump, molto vicino a Putin, dichiara che il confine Sud con il Messico è più pericoloso del Donbas e Biden debole e vecchio.

L’attacco annunciato verso Kiev unifica i leader UE-Usa, chiarisce ai governi che non si può far finta di nulla e una reazione diplomatica ci sarà. Finlandia e Svezia potrebbero avviare la procedura per entrare nella Nato, Baltici e paesi dell’Est riarmano, la Nato non è più morta, come diagnosticava frettoloso il presidente francese Macron nel 2019, ma viva. Bene: ma l’opinione pubblica europea non si mobiliterà ancora e ascolterà compunta nei talk show la disinformazione su Kiev che stava per entrare nella Nato, o la storiella di Kiev vassalla di Mosca, una capitale fondata svariati secoli dopo quella ucraina.

Putin ha l’offensiva adesso. I cinesi lo lasceranno andare, non lieti del suo avventurismo, ma non scontenti che crei grattacapi al rivale strategico Biden. Il disordine mondiale di Zar Putin chiude dunque, per sempre, l’equilibrio sancito dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e le speranze di rinascita, così care al presidente David Sassoli, seguite alla caduta del Muro di Berlino. Non credete alla vulgata corrente, alla fine chi se ne frega di Damasco e Crimea davanti ai dati import-export della manifattura? Lo squilibrio geopolitico, qualunque sia il corso che il presidente Biden saprà imprimere al suo diviso e lacerato paese, apre una stagione di travaglio per la generazione europea che sognava le avventure di Erasmus. Poche voci rompono il conformista pensiero dominante oggi, ma saranno quelle che, in futuro, risuoneranno più autentiche.