Massimo d'Alema (Depositphotos)

Franco Esposito

Massimo D'Alema al servizio dello Stato o piuttosto intermediario per fini personali? Il punto di domanda attraversa il mondo politico italiano e lo turba. Anzi di più, lo sconvolge. L'interrogativo semina un dubbio che sconcerta le coscienze e le interroga: lo statista ex presidente del Consiglio si spende per l'interesse nazionale e fa ottenere a due società statale una commessa da quattro miliardi, oppure svolge opera appunto da intermediario che punta ad ottenere la sua fetta di una provvigione da ottanta milioni di euro? Il dilemma è questo, inutili gli esercizi dialettici.  

Comunque la giri, l'ex premier è finito nel mirino. Nell'occhio di un vero e proprio ciclone  per cosa? Le armi ai colombiani. D'Alema si muoveva dietro le quinte "per facilitare l'acquisto da parte della Colombia di aerei, radar corvette e sottomarini", prodotti militari di Fincantieri e Leonardo. Fioccano le interrogazioni parlamentari, un po' tutti chiedono di conoscere la verità. Soprattutto il partito di Matteo Renzi e quello di Giorgia Meloni, 

Fuori la verità, forte e alto il grido di quella politica istituzionalmente portata a pescare nel torbido. Messo sulla graticola, Massimo D'Alema non ha dubbi, solo certezze. "Ho cercato di dare una mano a imprese italiane per prendere una commessa importante. Ero stato contattato da personalità colombiane": 

Tutto qui, quindi nessun interesse personale nascosto, nessun profitto da realizzare o realizzato? L'ex premier non appare turbato dalla brutta piega che la questione ha preso, da quell'accusa ora non più strisciante di aver fatto da intermediario milionario? "Evidentemente a qualcuno dava fastidio ed è intervenuto per impedirlo. Sia il governo italiano sia l'ambasciata colombiana erano stati chiaramente avvertiti di tutto". 

Allora come spiegarlo il dirottamento di una vicenda chiaramente vantaggiosa per l'Italia, come sostiene D'Alema, verso l'ennesimo scandalo nazionale? Siamo al deragliamento o che cosa? Lo statista trova "incredibile come sia facile reclutare in Italia qualcuno disponibile a danneggiare il Paese". 

In realtà, non è che la storia sia così lineare. Al punto che proprio un esponente del governo, il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, di Forza Italia, si è messo di puntiglio e di traverso quando è stato informato dell'operazione. É accaduto a metà febbraio. "Mi ha chiamato l'ambasciatore della Colombia, parlandomi dell'interessamento del presidente D'Alea per conto di Leonardo. Ho sollevato la questione di questo intervento a mio giudizio irrituale", 

Tale lo ritengono infatti molti esponenti politici, schierati con il sottosegretario, sia pure non apertamente. Evidentemente c'è di chi privilegia la strada della cautela. Mentre l'esponente del governo prosegue nella sua entrata a gamba tesa. "Da parte mia c'è stata sorpresa nell'apprendere dell'interessamento di D'Alema, perchè Leonardo stava già dialogando con il governo colombiano attraverso i normali canali istituzionali". 

Il quotidiano La Verità si è reso protagonista di uno scoop giornalistico, La pubblicazione in esclusiva di un video registrato dagli interlocutori colombiani di D'Alema. Benzina sul fuoco che sembra fatta apposta per incendiare la vicenda, Un passaggio del video recita questo, la voce è di D'Alema. "Noi abbiamo ottenuto il due per cento di provvigione, senza alcun tetto. Un risultato importante. E siamo in grado di garantire la firma del contratto". La telefonata prosegue con l'insistenza da parte di D'Alema sulla necessità di tenere un solo canale di trattativa e di schermare il tutto presso uno studio legale americano. "Perchè la Colombia è all'attenzione degli Stati Uniti". 

La frase sembra propedeutica alla considerazione finale: Se c'è di mezzo uno studio legale, si può ricorrere al segreto professionale. 

Un risultato molto importante. Era una commessa da quattro miliardi – per due sottomarini, quattro corvette, ventiquattro aerei militari M346  - gli ottanta milioni di provvigione si sarebbero divisi tra la cordata demitiana, i soci dello studio Robert Allen Law e i colombiani. 

Tra i facenti parte dell'affare anche due improbabili mediatori italiani, i cineasti Emanuele Caruso e Francesco Amato, residenti in Sudamerica. Pare che D'Alema li accreditasse come come consiglieri del ministero degli Esteri della Colombia. 

Emanuele Caruso ha inteso precisare il ruolo che ricopre nell'ambito dei rapporti Italia-Colombia con una lettera indirizzata ad alcuni giornali italiani. "Opero da qualche tempo con un incarico delle autorità colombiane nell'ambito della copoperazione internazionale. Premetto che conosco il, presidente D'Alema, persona che stimo ma con cui non ho avuto alcun rapporto d'affari". 

Ma il fatto vero, la scena finale di questa vicenda dai contorni comunque giallognoli, riguarda Fincantieri. Grazie a D'Alema, il 27 gennaio scorso una delegazione della società italiana ha presentato i prodotti al ministero colombiano della Difesa. Altrettanto ha fatto il rappresentante di Leonardo in Sudamerica. Ma c'è dell'altro. A dicembre, un importante manager della divisione aerei di Leonardo, Dario Marfè, ha girato a D'Alema una brochure dei loro prodotti. 

Comunque finisca, ne vedremo delle belle. Ma questo è il classico modo di dire: anche questa è una brutta storia.