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DI Massimiliano Iervolino

 

 

Ora che tutti parlano della famigerata operazione “Dalla Russia con amore” e che ogni giorno si scopre qualche dettaglio imbarazzante in più è bene fare un passo indietro e ricordare cosa accadde in quei giorni di due anni fa.

Immaginate la scena: il 22 marzo 2020 mentre il nostro Paese è in lockdown totale, all'aeroporto militare di Pratica di Mare atterrano una ventina di aerei cargo e veicoli militari russi con 104 persone al seguito di cui solo una trentina tra medici e infermieri, il resto militari. La spedizione russa è libera di muoversi senza restrizioni sul nostro territorio per più di un mese e, come salta fuori solo adesso, anche ampiamente foraggiata dai nostri soldi.

L’operazione “Dalla Russia con amore” è stata lanciata da Mosca a seguito di una telefonata tra Putin e l’allora presidente del Consiglio Conte con la missione, almeno così ufficialmente designata, di soccorrere l’Italia nella lotta al Covid-19. All’epoca fummo gli unici politici a sentire, diciamo così, puzza di bruciato e a denunciare quell'episodio poco chiaro. Due anni e una guerra dopo, se ne sono accorti tutti.

Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori si chiede quale fosse il senso di quell’operazione e se potesse nascondere un’attività di intelligence oltre che di propaganda. La vicenda è riecheggiata anche nelle recenti e minacciose parole del direttore del dipartimento europeo del ministero degli esteri russo Alexei Paramonov (insignito in passato di due onorificenze della Repubblica Italiana!) che, dopo aver paventato per il nostro Paese conseguenze irrimediabili a fronte delle sanzioni imposte, ha rinfacciato l'aiuto russo all'Italia proprio citando l’operazione "Dalla Russia con Amore".

Fin da subito denunciammo l’incongruenza di quella situazione, chiedendone conto al presidente Conte e al ministro Di Maio, con lettere, comunicati e con l'interrogazione del 1 aprile 2020 proposta da Riccardo Magi. Chiedemmo a Conte, Di Maio e Guerini di chiarire se esistesse un accordo alla base di quella operazione e cosa prevedesse o se fosse il frutto di un semplice accordo verbale tra il presidente russo e il presidente del Consiglio dei ministri italiano; che tipo di attrezzature fosse arrivato e in quale quantità; che qualifiche avesse il personale arrivato e quante unità di personale militare fossero sbarcate, di chi si trattasse, dove si trovassero e quali fossero i loro compiti.

Addirittura il giornalista de La Stampa Jacopo Iacoboni che si occupò del caso ricevette quella che possiamo definire una minaccia di stampo mafioso. Il Ministero della Difesa russo pubblicò una nota in italiano sulla pagina Facebook dell’Ambasciata russa a Roma: 'Per quanto riguarda i rapporti con i reali committenti della russofobia de La Stampa, i quali sono a noi noti, raccomandiamo loro di fare propria un’antica massima: Qui fodit foveam, incidet in eam (chi scava la fossa, in essa precipita). Per essere più chiari: bad penny always comes back'. Insomma qualcosa di storto nell’operazione sembrava proprio esserci se i russi non gradivano alcuna investigazione della stampa.

Eppure il governo italiano continuava a rimanere silente. Per questo il 4 aprile 2020 inviammo ancora una lettera (resa pubblica alla stampa) indirizzata al presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte e, per conoscenza, al ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio e al ministro della Difesa Lorenzo Guerini in cui, tra l'altro, scrivevamo:

“Desta preoccupazione il fatto che sia sbarcato nel nostro Paese un importante contingente militare di oltre un centinaio di uomini, alcuni dei quali impegnati, anche in un recente passato, in operazioni di guerra e di intelligence... Ci saremmo aspettati una comunicazione puntuale da parte del governo circa un’operazione che coinvolge sul nostro territorio un dispiegamento di forze militari di un Paese che pur non nemico non è parte della nostra alleanza strategica all’interno della NATO. Ciò che, invece, non ci saremmo nemmeno immaginati è stata la dura presa di posizione dell’Ambasciatore della Federazione russa in Italia che ha espresso considerazioni gravemente minacciose nei confronti del giornalista Jacopo Iacoboni. Una minaccia tanto più sinistra in quanto è arrivata dagli esponenti del Governo di un Paese dove negli ultimi venti anni circa 300 giornalisti sono stati assassinati o sono scomparsi, tra cui, ci teniamo a ricordarlo, Antonio Russo di Radio Radicale”. 

Giuseppe Conte non rispose alla nostra lettera e, soprattutto, non rispose agli italiani. Forse solo il ministro Guerini, pesantemente attaccato dai russi alcuni giorni fa, può riuscire a dare quelle risposte. Racconto tutto questo non per fregiarmene ma perché mi auguro davvero che chi ha chiuso gli occhi finora li possa aprire e agire di conseguenza.