di Federica Olivo

"Quel che importa è morire bene, soltanto allora inizia la vita", spiega ai suoi follower su Tik Tok Ivan Luca Vavassori, portiere di origini russe ma in Italia da quando era bambino, che si è arruolato nella legione straniera per combattere a favore dell'Ucraina. Alle Iene, invece, ha parlato Giulia Schiff, la ragazza che era stata espulsa dall'Aeronautica dopo essersi ribellata al nonnismo subito durante il battesimo di volo. "Sono qua perché non voglio che ci sia la guerra. E se si riesce a fermare qua, a casa non ci arriva. Se resterò fino alla fine della guerra? Sì, non ho in programma di venire via", ha raccontato, sostenendo di essere l'unica donna della legione straniera. Gli italiani, come ha spiegato un ufficiale della legione al Corriere, non sono tra i gruppi di stranieri più numerosi corsi a sostegno di Kiev. Quanti siano esattamente non si sa. Si sa, però, un dato. Anzi, due. I foreign fighters, o combattenti della legione straniera, stanno commettendo un reato. Secondo le leggi italiane. Allo stesso modo, è reato il fatto che le autorità di un Paese straniero arruolano cittadini italiani senza chiedere il permesso allo Stato.

A ribadire questo concetto, già trapelato nei giorni scorsi, è stato direttamente il ministero degli Esteri. "In merito alle notizie apparse su
alcuni organi di informazione relative alla partecipazione di cittadini italiani al conflitto in Ucraina, la Farnesina ricorda che tali condotte possono essere considerate penalmente rilevanti ai sensi della normativa vigente (artt. 244 e 288 del codice penale)", si legge in una nota, nella quale viene sconsigliato agli italiani di andare in Ucraina, per qualsiasi ragione.

Il primo reato cui si fa riferimento è quello di Atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra e riguarda sia i combattenti in prima persona, ma anche chi li arruola. Le autorità ucraine, in questo caso. Il reato viene punito con una pena dai sei ai diciotto anni di carcere, rimodulata in base alle conseguenze che derivano dalla condotta. Se, per esempio, dall'arruolamento deriva una guerra sul suolo italiano, si può arrivare all'ergastolo. La seconda fattispecie, invece, riguarda gli arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero. In questo caso la norma è diretta solo a chi arruola o a chi fornisce armi e la pena prevista va dai quattro ai quindici anni. Queste due norme non sono le sole a rendere illecita l'attività dei foreign fighters, quale che sia lo scopo per cui imbracciano le armi.

C'è, infatti, anche la legge 210 del 1995, che sanziona il mercenarismo. E, per quanto l'espressione sia ostica e porti il pensiero a fini poco nobili, gli arruolati nella legione straniera in Ucraina ricevono un compenso (lo stesso Vavassori ha ammesso di aver firmato un contratto), per cui giuridicamente possono essere definiti mercenari. Con tutte le conseguenze del caso.
Della legislazione italiana si sono accorte anche le autorità ucraine. Che, per evitare di incorrere in un reato - o in un incidente diplomatico - sono corse ai ripari. Il consolato di Kiev a Milano aveva diffuso sui social un post in cui invitava gli "aspiranti legionari" a presentarsi, passaporto alla mano, per un colloquio. Il contenuto è stato rimosso dopo pochi giorni, per evitare problemi legali. Allo stesso modo, se si scorre il sito creato dall'Ucraina per arruolare combattenti stranieri online, si nota che tra i tantissimi Paesi elencati l'Italia non c'è. Per il semplice fatto che un'operazione del genere non si può fare. Almeno, non seguendo le vie legali.
In questo ambito ogni storia è diversa. Così come sono diverse le ragioni che spingono una persona ad andare a combattere oltre i propri confini, per una causa in cui crede. Se però si vuole avere un'idea di come le leggi in materia vengano applicate, bisogna guardare due precedenti. Alcuni mercenari filorussi che sono andati a combattere nel Donbass sono stati condannati con l'accusa di combattimento non autorizzato al servizio di uno stato estero. Per tre di loro la sentenza è arrivata nel 2019. Del caso si è occupata anche l'antiterrorismo.
Molto diverso, anche per i reati contestati - ma vale comunque la pena citarlo - è il caso dei cinque ragazzi torinesi che sono andati a combattere accanto ai curdi, contro l'Isis. Una di loro, Eddi Marcucci, è stata sottoposta a sorveglianza speciale, perché considerata "socialmente pericolosa". È rimasta sotto questo regime fino a pochi giorni fa.