DI FEDERICA OLIVO

Dietro l'espressione ius scholae ci sarebbe un concetto semplice. Sintetizzabile in poche parole: un minore, figlio di genitori stranieri, nato in Italia o arrivato nel nostro Paese entro il dodicesimo anno di età, se ha frequentato per cinque anni la scuola italiana, o dei percorsi professionalizzanti più brevi, quando diventa maggiorenne acquista la cittadinanza. Sarebbe, perché la proposta di legge che la commissione Affari costituzionali della Camera riprende ad analizzare oggi, 4 aprile, ha davanti a sé un ostacolo che potrebbe affossarla o, se non altro, rendere il suo iter molto più tortuoso. Per la verità, gli ostacoli sono 728. Tanti sono gli emendamenti presentati al testo, che ha come relatore Giuseppe Brescia del Movimento 5 stelle e che punta ad assicurare la cittadinanza ai bambini figli di stranieri che vivono in Italia. In una prima scrematura Brescia, che è anche presidente della commissione ha dichiarato che 210 emendamenti non sono ritenuti ammissibili. "Circa 140 emendamenti, prevalentemente di Fratelli d’Italia, puntavano ad abrogare o sostituire parole del testo rendendolo incomprensibile in lingua italiana. Altri 60 a firma Lega non saranno posti ai voti perché contengono modifiche di carattere meramente formale, proponendo ad esempio sinonimi", si legge in una nota. Il termine per i ricorsi scadrà alle 15 del 5 aprile.

Le proposte di modifica arrivano principalmente dalla Lega, ne ha presentate 484, e da Fratelli d'Italia, che invece ne ha messe sul tavolo 167. Forza Italia, lo ricordiamo, ha votato a favore del testo base, prendendo un'altra strada rispetto agli alleati di centrodestra. Coraggio Italia, invece, si è astenuta.

Ma cosa propongono gli emendamenti del Carroccio e dei meloniani? Vale la pena sfogliare le 148 pagine del fascicolo e leggerli perché, soprattutto i primi, sembrano più note di folklore che potenziali interventi legislativi. Un esempio per tutti? Per la Lega l'aver fatto almeno cinque anni di scuola in Italia potrebbe essere, al più, un punto di partenza. Un emendamento firmato dai leghisti in commissione Affari costituzionali chiede, infatti, che all'aspirante cittadino italiano sia fatto un test orale "sulle sagre tipiche italiane".

La proposta sarebbe grottesca anche se fosse isolata, peccato che c'è dell'altro. Al giovane - che essendo maggiorenne potenzialmente potrebbe essere in Italia da quasi vent'anni - si chiederebbe di sostenere "una prova orale consistente in un colloquio sulle abitudini e tradizioni italiane". Con un'operazione di ostruzionismo da manuale, poi, il Carroccio scende nello specifico. In un emendamento chiede che il candidato sostenga una prova sia scritta che orale - oltre che di conoscenza dell'educazione civica e della lingua italiana -  sulle "tradizioni locali della regione in cui risiede". Per essere più chiari poi, i deputati hanno presentato un emendamento per ciascuna regione italiana. Badando bene - leggere per credere - anche a distinguere le tradizioni giuliane da quelle friulane, gli usi romagnoli da quelli emiliani. Stranamente, il Trentino non viene scisso dall'Alto Adige. Sarà una dimenticanza o ci sarà uno studio accurato dietro, chi lo sa.

Al netto della singolarità della proposta, basterà secondo la Lega conoscere le tradizioni regionali? Neanche per idea. E così si propone un test sulla moda italiana, una prova scritta sui laghi del nostro territorio, un esame sulla musica e la gastronomia nostrane e financo un colloquio "sugli usi e costumi italiani dagli antichi romani ad oggi". C'è poi la proposta - questa lanciata anche da Fratelli d'Italia - di fare un test su elementi di diritto dell'Unione europea e su elementi di diritto costituzionale italiano. Certamente si tratta di un intervento meno grottesco dei precedenti, ma viene da chiedersi quanti coetanei degli aspiranti cittadini italiani conoscano queste nozioni. I dati recenti e i sondaggi non sembrano restituire un quadro particolarmente confortante.

Ci sono poi degli emendamenti che guardano al merito scolastico. I leghisti vorrebbero i cinque, o più, anni di scuola necessari per diventare cittadino debbano essere conclusi con profitto. Nello specifico, si richiede "il massimo dei voti" all'esame di maturità. Pur volendo rifuggire da facili paragoni e sorvolare sui risultati scolastici dei leader del Carroccio - Salvini prese 48 alla maturità, non il massimo dei voti - suscita qualche perplessità l'idea che per diventare cittadini italiani si debba necessariamente essere i primi della classe. E se questo emendamento non dovesse piacere, ecco che ce ne sono altri: se cento è considerato troppo, potrebbe bastare aver preso 90 o, in ultima istanza, 80. È un modo questo, più che per ribadire un concetto, per presentare quante più proposte possibili così da rallentare i lavori.

È sempre firmata dalla Lega la proposta in cui si chiede che l'aspirante cittadino italiano non abbia mai commesso atti violenti in orario scolastico. La domanda sorge spontanea. E se si è azzuffato con un compagno in prima elementare, magari con la violenza che può usare un bimbo di sei anni, la preclusione vale lo stesso? A leggere la norma sembrerebbe di sì.

L'esame degli emendamenti della Lega potrebbe durare ancora a lungo, ma citeremo un ultimo esempio, tanto per rendere l'idea. L'emendamento 1.71 prevede che il ragazzo figlio di stranieri può ottenere la cittadinanza solo se (oltre a soddisfare le altre dubbie condizioni) i genitori non hanno "pendenze economiche con il comune e la Regione in cui abbiano risieduto, nonché con l’amministrazione fiscale statale". Quindi, praticamente, un ragazzino figlio di evasori fiscali, ma anche di persone che non sono riuscite a saldare dei conti con il Comune o con lo Stato per difficoltà economiche, non meriterebbe la cittadinanza. Una visione singolare, non riproposta - a dire il vero - neanche da Fratelli d'Italia.

Molti emendamenti dei meloniani secondo Brescia sono da dichiarare inammissibili, perché cancellando congiunzioni o singole parole renderebbero gli articoli illogici. Nella parte che invece dovrebbe essere ammessa, i deputati di FdI chiedono che i cicli scolastici da completare per avere la cittadinanza siano due, non uno. E mettono molti paletti sul rendimento scolastico, sulle conoscenze e sui legami familiari e sulle modalità di ingresso del minore in Italia. Si chiede, in particolare, che sia arrivato nel nostro Paese per vie legali. E se i suoi genitori hanno chiesto l'asilo politico subito dopo un approdo tecnicamente illegale cosa succede? Non è specificato. In questo caso, come negli altri che abbiamo visto, pare sia più importante mettere lo sgambetto alla legge che non dare risposte concrete. Che chi, pur senza cittadinanza, si sente di fatto italiano forse meriterebbe.