Di Matteo Forciniti

 

Tra il gennaio e l’agosto del 1880 circa 200 minatori italiani furono protagonisti di un grande sciopero avvenuto all’interno della Represa de Cuñapirú il cui epilogo è rimasto avvolto nel mistero. In questa zona del nord dell’Uruguay, tra Tacuarembó e Rivera, funzionava la prima centrale idroelettrica del Sud America gestita dalla “Compañía Francesa de las Minas de Oro del Uruguay”. Erano gli anni della febbre dell’oro e lo sfruttamento delle risorse minerarie veniva reso possibile grazie alla mano d’opera degli immigrati, italiani e non solo, senza alcun tipo di diritti e senza tutele che decisero di ribellarsi alla situazione segnando così una svolta nella storia del movimento operaio uruguayo.

A cercare di far luce su questa vicenda dimenticata ci ha pensato la professoressa Selva Chirico che nel corso di una ricerca tra i documenti ufficiali ha potuto ricostruire quel lungo e significativo sciopero. Tali argomenti sono stati esposti recentemente al Mumi, il Museo de las Migraciones di Montevideo, in occasione del seminario organizzato per la conclusione della mostra “Oltre i confini, experiencias migrantes italianas” organizzato insieme all’Ambasciata italiana.

“La costruzione della miniera” -racconta la professoressa a Gente d’Italia- “avvenne tra il 1878 e il 1882 . A cinque chilometri dal posto sorse Santa Ernestina, un paesino dall’ambiente multiculturale popolato dai lavoratori della miniera, soprattutto italiani -agricoltori in maggioranza- ma anche francesi, brasiliani, baschi, inglesi e discendenti africani. Le condizioni di lavoro che subivano questi immigrati erano disumane, tipiche di un’epoca imperialista che oggi ci deve far vergognare”. I lavoratori della Represa de Cuñapirú erano vittime del caporalato e non solo: “Il 60% del salario mensile se ne andava per le spese del trasporto. A ciò bisognava aggiungere anche i costi dell’alimentazione che potevano arrivare anche alla metà del guadagno giornaliero. Non c’erano contratti scritti e, spesso, succedeva che le promesse sui pagamenti fatte dalla compagnia venivano eluse. Chi aveva la sfortuna di subire un incidente mentre lavorava veniva punito e in alcuni casi c’erano anche punizioni corporali. C’era un’evidente necessità di alzare la voce di fronte a queste ingiustizie”.

Le prime denunce dei lavoratori comparvero sulla stampa uruguaiana a partire dal locale “El Siglo” e poi ancora sui giornali “L’Era Italiana” e “L’Eco d’Italia” che portò avanti una forte campagna al riguardo senza però provocare alcun cambio.

“Dopo i numerosi appelli rimasti inascoltati i lavoratori cominciarono lo sciopero nel gennaio del 1880. La compagnia, che continuava a commettere impunemente soprusi, chiese un intervento militare al governo che però in un primo momento rifiutò. Nella lettera inviata alle autorità uruguaiane venivano incolpati dei fatti 200 italiani accusati di essere anarchici, circa la metà del totale degli operai. In quegli anni anni il solo sospetto di essere etichettato come anarchico equivaleva in pratica a una condanna già scritta. In realtà, per poter durare così a lungo, possiamo ipotizzare che quella rappresentava una protesta molto più vasta rispetto a quello che voleva far credere l’impresa”. Lo sciopero andò avanti fino al mese di agosto prima di essere fermato dalla repressione delle forze dell’ordine: “Alla seconda richiesta il governo decise di assecondare le richieste della compagnia mandando un reparto della polizia locale per porre fine alle proteste. Non esistono documenti su quello che venne fatto, l’unica certezza è che dopo otto mesi lo sciopero finì con una risposta violenta. Non sappiamo neanche quale fine abbiano fatto questi 200 anarchici italiani ma è probabile che la maggior parte di loro venne fatta scomparire, forse qualcuno riuscì a salvarsi scappando in Brasile. Ma queste sono solo ipotesi dato che non abbiamo prove. Nella comunità locale sono rimaste poi le testimonianze orali che evidenziano un trauma su quei tragici avvenimenti”.

“Questa è una storia che merita senz’altro di essere riscattata” conclude la professoressa. “Rappresenta senz’altro un aspetto atipica all’intero dell’immigrazione italiana in Uruguay che non ci può lasciare indifferenti. Questi anarchici italiani dimenticati non ebbero mai voce propria”.

La centrale idroelettrica gestita dalla compagnia francese continuò a funzionare fino al 1919. Nel posto dove si produsse il primo sciopero della storia del movimento operaio uruguayo oggi restano le rovine di quel passato ancora pieno di misteri.