di Sergio Carli

Era il 5 maggio 1860. Quella sera Garibaldi con i suoi mille partì da Quarto di Genova per la Sicilia. Quella notte, come oggi, come stasera, il mare era piatto (più tardi si incattivì) e l’imbarco dei volontari garibaldini sui due piroscafi, Piemonte e Lombardo, si completò senza incidenti. Erano esattamente 1.424 uomini e una donna, Rosalia Montmasson, savoiarda. Garibaldi non ce la voleva (forse per l’universale superstizione dei marinai che le donne a bordo portano nella).

Ma era la moglie di Francesco Crispi, troppo indispensabile per mettercisi contro. Garibaldi subì. Nessuno si accorse che era donna perché la signora Crispi sali a bordo vestita da guerriero.

Dumas fornisce anche la provenienza regionale dei garibaldini: 150 bresciani, 60 genovesi, 90 bergamaschi, 170 pavesi, 150 milanesi, 30 bolognesi, 50 toscani, 60 fra Parma e Piacenza, 27 modenesi, 110 fra siciliani e napoletani, 88 veneti.

Purtroppo, nella confusione, andò dispersa la barca che doveva portare a bordo polveri e munizioni.

Ecco perché, come racconta Alessandro Dumas, Garibaldi dovette fare sosta a Talamone, al confine del Regno d’Italia con lo Stato Pontificio.

Quel che segue è storia. Il racconto di Dumas, raccolto nel 2004 dall’editore a Einaudi in un bel volume, Viva Garibaldi, affascina per il ritratto dell'eroe dei due mondi che ne emerge. Un uomo umile, schivo, come dimostra questo episodio.

Durante una passeggiata sui monti fra Quarto e Quinto, Garibaldi fiutò un inebriante profumo di caffè, bevanda di cui andava pazzo. Si pensi che la sua cena era una galletta intinta nel caffè. L’aroma usciva da una casa dove una donna stava tostando (torrefacendo?) la provvista per la famiglia. L’amico che era con lui gli suggerì di farsi riconoscere per farsi offrire una buona tazza. Garibaldi sgattaiolò e fuggi lontano.

Oggi quei monti sono coperti di case, le strade sono asfaltate e sopra passa l’autostrada. Forse a scuola dei Mille non se ne parla nemmeno più, Garibaldi non c’è più e nemmeno Bixio e nemmeno il pur più modesto Crispi.

Di generazione in generazione sono rimasti i discendenti di quei burocrati invidiosi che speravano di far morire Garibaldi, come David con Uria l’ittita, assegnandogli le posizioni più rischiose.

Ci consoliamo guardando al progresso compiuto dalla nostra Italia in questi 162 anni un po’ con orgoglio un po’ riconoscendo che il buon Dio ci ha assegnato alla parte ricca del mondo. E ci godiamo come Garibaldi quella sera sullo scoglio di Quarto la placida onda del mare di Genova.