Di Ernesto Ferrero

Giovanni Battista Pirelli nacque nel 1848 a Varenna, sul lago di Como, da una modesta famiglia e in una «modestissima casa, ove – ricorderà Pirelli - uniche dovizie erano la rettitudine e l'operosità». A scuola era bravissimo e la madre lo manda a studiare prima a Como e poi a Milano per frequentare l'Istituto Tecnico di Santa Marta, dal quale esce con il massimo dei voti. Così, nel 1865, Giovanni Battista Pirelli si iscrive alla Facoltà di scienze fisiche dell'Università di Pavia e poi al Politecnico di Milano, scegliendo la specializzazione in ingegneria industriale. Il professore di meccanica è Giuseppe Colombo, uomo di larghe vedute e straordinario talento maieutico. Sarà decisivo per la formazione sua e di tanti protagonisti dell'imprenditoria milanese, come i Riva, i Salmoiraghi, i Saldini, i Cabella. La laurea nel 1870 con la votazione più alta vale a Pirelli una delle due borse di studio istituite in memoria di un figlio da una illuminata nobildonna milanese, Teresa Berra Kramer. Erano destinate ai laureati migliori, affinché potessero «completare e perfezionare i loro studi teorico-pratici con un viaggio d'istruzione» all'estero. Il giovane borsista sarà sempre consapevole della rilevanza decisiva di quel viaggio per la sua formazione. Dal novembre 1870 al settembre dell'anno successivo viaggia attraverso la Svizzera, la Germania, il Belgio e la Francia, riempiendo di note un grosso quaderno a quadretti di trecento pagine. Interrogato su quale campo di studi intendesse approfondire, aveva scelto la neonata industria della gomma elastica, o più precisamente del caoutchouc, in italiano caucciù, che mandava il suono allegro di uno schiocco infantile. Era il nome del nuovo mirabolante ritrovato che prometteva un numero notevole di applicazioni e in Italia mancavano le manifatture dedicate. Era (sarebbe diventato) elastico, resistente, impermeabile, isolante.
Il 28 gennaio 1872 Pirelli (23enne) si presenta in Milano davanti al notaio Stefano Allocchio per fondare la prima impresa italiana di lavorazione della gomma. È una impresa al limite del temerario. Mancano i dirigenti, i tecnici, le maestranze. Ha cinque impiegati, quaranta operai e una motrice a vapore di 26 HP. Gli stessi operai sono più inclini all'artigianato che non al lavoro e alla disciplina degli opifici. La finanza privata si dimostra guardinga. Non sono in molti a credere nello sviluppo industriale.
Attentissimo alle domande del mercato, Pirelli tiene particolarmente alla formazione e alla fidelizzazione di nuovi quadri, un management all'altezza delle sfide. Ne sarà ripagato dalla professionalità e dalla dedizione di un gruppo dirigente di alta qualità, tecnici e amministrativi che maturavano decenni di fedeltà, accortamente remunerati e incentivati. La stessa sensibilità era portata ai dipendenti, per i quali veniva istituita una cassa di soccorso e una speciale politica di welfare. Altrettanto significativa, e anch'essa nuova, l'attenzione dedicata alla comunicazione e alla pubblicità come momento non meno importante della produzione.