È difficile immaginare una puntata di infotainment più surreale di quella andata in onda la sera del 5 giugno su La7. Un guazzabuglio, compreso il malore del povero conduttore Massimo Giletti, al quale vanno i nostri auguri di pronta ripresa, che ha però il pregio di aver messo ancora più in luce l’assurdità e anche l’insostenibilità del talk show italiano. Insostenibilità perché ormai produttore di un fenomeno di inciviltà, che non solo implica scontri verbali da bar di Caracas, offese reciproche e delegittimazioni, ma (ed è quello che è accaduto nella puntata citata, ovvero la puntata di Non è l’Arena, con il conduttore in diretta da Mosca) anche il via libera alle informazioni false, alle affermazioni eticamente aberranti, al rovesciamento di ogni valore fino ad ora considerato di base in una democrazia. Inciviltà e post-verità scorrono a fiumi in questi talk show, dove i conduttori fanno di volta in volta i vigili urbani, gli aizzatori, i finti moralisti, e via dicendo. Loro stessi parte della messa in scena. Totalmente inutili rispetto all’obiettivo di fornire informazioni e chiavi di lettura serie. Quando ciò accade è perché gli è scappato un ospite fuori dell’ordinario, che non sta al gioco, ma loro non c’entrano nulla.

L’intrattenimento è tutto. Ma poiché siamo un paese di ipocriti, nessuno dei protagonisti lo ammette, e così li senti parlare di pluralismo, della necessità di dare voce ad ogni posizione, della libertà di espressione, e via dicendo. Una pochade nella pochade. Una meta-pochade. Il parlare delle loro tristi messe in scene attraverso la messa in scena del bravo giornalista che lavora al servizio della democrazia. Ignaro, in realtà, di cosa siano davvero pluralismo, libertà di espressione, etc. e incapace di distinguere opinioni correlate ai fatti da opinioni astruse e insensate. Tutto uguale.

Purtroppo, però, non lavorano al servizio della democrazia. Lavorano al servizio di loro stessi. Ormai senza scrupoli. Come mostra il modo in cui da tre mesi trattano il tema della guerra provocata dall’invasione russa in Ucraina. Lasciando sfogare i personaggi più assurdi in cerca di notorietà, contrabbandando analisti dalle incerte credenziali per guru della politica internazionale, dando in pasto temi seri e tragici a casinisti di professione, consentendo di insultare donne e uomini che muoiono e combattono ogni giorno per difendere il loro paese e la loro libertà da internazionalisti improvvisati che ripetono imbecillità in voga (come la guerra per procura). Il tutto per creare scontro e indignazione, e quindi, appunto, fare audience. E da un po’ di tempo, queste brutte messe in scena si sono arricchite del nuovo tipo di ospite che massimamente attira attenzione, produce indignazione, e pure permette ai giornalisti di farsi passare per grandi intervistatori: il propagandista russo, donna e uomo.

E proprio sull’intervista al propagandista russa, la portavoce del Cremlino Marija Zakharova, era stata costruita la puntata da Mosca, nientemeno con Giletti da Mosca. Sorvoliamo sulla totale inutilità di quella trasferta, piccolo elemento di spettacolo di conduttori televisivi che giocano agli inviati. Sorvoliamo sull’assurdità dell’inizio della trasmissione con il lungo dialogo tra Giletti da Mosca e Cacciari dalla Calabria. E sorvoliamo anche su quell’imbarazzante dialogo. Ma ciò che è accaduto in quella puntata, è stato di mettere in evidenza con una forza particolare la cifra del talk show nostrano: l’incapacità dei conduttori di gestire i contenuti – non le dinamiche della pochade, i contenuti – di volta in volta messi in gioco.

L’intervista di Giletti a Zakharova è stata incredibile: una sorta di lungo piagnisteo con il quale, di fronte alle incredibili mistificazioni dei fatti e della storia, agli insulti ai paesi occidentali, allo stesso conduttore, Massimo Giletti, frignando e provando ogni tanto a mostrarsi seccato, implorava l’inquietante personaggio al servizio di Putin di pensare ai morti che fa la guerra e alla necessità di trovare la pace. Dando però ragione a Zakharova su ogni interpretazione della realtà da lei offerta, quasi cercando compiacenza. Difficile immaginare una cosa più ridicola e sconcertante. Resa ancora più ridicola dal fatto che Giletti non si poneva come l’intervistatore che vuole conoscere e capire, e magari attraverso un vero confronto fare emergere almeno pezzi di verità e contraddizioni dell’interlocutore (come fa Christiane Amanpour, e mi scuso per averla nominata parlando delle pochezze del giornalismo televisivo italiano). Anche perché Giletti non è stato in grado di ribattere ad alcuna delle falsità propinate dalla portavoce, tacendo, ad esempio, sulla ‘denazificazione’ così come sul riferimento al bombardamento di Belgrado come se si fosse trattato di una guerra di aggressione. No. Giletti si comportava come se dovesse trattare lui il cessate il fuoco con Zakharova. Come se attraverso di lei dovesse convincere i russi a diventare più buoni. E la ciliegina sulla torta su tutto questo è stato l’intervento successivo di Myrta Merlino, dopo l’intervista, che rivolgendosi a un altro di questi campioni della propaganda russa che scorazzano liberamente per le nostre televisioni, ormai nei fatti dépendance del ministero della comunicazione russa, Soloviev, a Mosca con Giletti, ha imbastito un imbarazzante pistolotto, tutta severa e compita, sulla maleducazione di Zakharova e la sua indisponibilità a fare la minima autocritica, sul suo comportarsi da propagandista. Ma va?! L’unico risultato che Merlino ha ottenuto è stato farsi ridere in faccia da Soloviev, che le ha dato della maestrina con la penna rossa (o qualcosa di simile, a quel punto come telespettatrice ero particolarmente provata).

Soloviev e Zakharova hanno trattato i due giornalisti televisivi come due bambocci alle prime armi, irridendoli. Il problema è che, purtroppo, i due hanno mostrato la loro grande inadeguatezza a gestire tematiche così complesse, tragiche e delicate. E qui è il punto. Questa puntata ha reso evidente per l’ennesima volta, sì, ma in modo estremo, come il contesto da intrattenimento che in questi anni è scaturito dal mezzo televisivo immerso nel più ampio brodo mediatico, e l’attitudine da ‘intrattenitori’ dei giornalisti (che siano essenzialmente intrattenitori perché altro non sanno fare o che lo facciano per opportunismo), uccida l’informazione, scacci l’informazione buona per dare spazio all’informazione cattiva, alla simulazione dell’informazione. Il giornalismo televisivo ormai solo in modo residuale, in spazi ridotti, risponde a una etica dell’informazione che è anche etica democratica, perché ormai ha accettato di sposare pressoché in toto la logica mediatica, che è logica commerciale. E se il fenomeno è presente in tutto l’Occidente, per motivi che andrebbero indagati (forse la debolezza delle etiche professionali è tra questi motivi, ma anche una fragile cultura democratica), in Italia assume aspetti paradossali e dimensioni impressionanti. Vogliamo intervenire o pensiamo di continuare a farci del male?