di Ottorino Gurgo
Non è un mistero che i partiti, sia pure con un anno di anticipo, sono ormai proiettati verso le elezioni politiche della prossima primavera. Le forze politiche sono dunque impegnate in una accurata analisi dei risultati delle "amministrative" svoltesi domenica scorsa in circa mille comuni tra i quali Genova, Palermo, Parma, Verona, Catanzaro e L'Aquila.
È pur vero che si può essere indotti a considerare il test probante solo sino a un certo punto sia per l'ormai consolidata mobilità del nostro elettorato che muta da una elezione all'altra i propri orientamenti, sia perché il voto delle "amministrative" obbedisce a valutazioni diverse da quelle delle "politiche".
Ma, considerando la vastità della consultazione di domenica scorsa, mette conto trarre alcune indicazioni dai risultati elettorali.
Il dato emergente è certamente il successo conseguito dal centrodestra.
Commetterebbero, tuttavia, un micidiale errore Fratelli d'Italia, la Lega e Forza Italia se pensassero di avere ormai la vittoria in tasca senza considerare la mobilità dell'elettorato italiano alla quale abbiamo già fatto riferimento, il test amministrativo ha chiaramente dimostrato che il centrodestra vince laddove si presenta unito e perde quando dà l'impressione di essere diviso. Ê un chiaro monito per Giorgia Meloni e per Matteo Salvini: la loro esasperante rivalità per ottenere la leadership della coalizione è certamente un elemento fortemente negativo. Il fatto che la Meloni abbia scavalcato Salvini nel numero di consensi, non aiuterà a sciogliere il nodo tra lei e il leader della Lega. D'altra parte se l'obiettivo del centrodestra è quello di conquistare la guida del governo, è difficile che la Meloni possa riuscirvi da sola, in rotta con Salvini e forse anche con Berlusconi che - incredibile a dirsi- non ha rinunciato all'idea di tornare a sedersi sulla poltrona di Palazzo Chigi.
Insomma, a farla breve, il voto di domenica ha inequivocabilmente dimostrato che, se vuole vincere, il centrodestra non deve assolutamente dividersi. Sembrerebbe facile, ma non lo è, dato che anche in queste ore la polemica Meloni-Salvini, lungi dall'attenuarsi si è ulteriormente acuita.
Quanto all'altro protagonista del voto, il Pd, va rilevato che l'alleato prediletto di Enrico Letta, il movimento pentastellato di Giuseppe Conte (un altro che si illude di poter tornare alla presidenza del Consiglio) ha subito una nuova, clamorosa disfatta.In tal modo il positivo risultato ottenuto dal Pd, primo partito in assoluto, rischia di essere vanificato se Letta continuerà ad insistere sull'attuale alleanza.
Letta dovrà, dunque, attivare la sua fantasia per far fronte alla caduta verticale del suo alleato prediletto, i cinquestelle, che orma ad ogni elezione perdono caterve di voti e non possono, quindi, dare un gran contributo nella competizione con il centrodestra.
L'ipotesi che viene prospettata - e per la quale il leader dei "democratici dovrebbe cominciare a lavorare sin d'ora, è un'alleanza con quei centristi che indubbiamente esistono, ma non sono finora riusciti a divenire una forza politica organizzata.
Inoltre, Letta ha fatto ben poco per realizzare quello che, al momento della successione a Nicola Zingaretti, sembrava dover essere il suo principale impegno, vale a dire il riassorbimento della diaspora interna.
Dobbiamo, infine, far cenno al flop fatto registrare dai referendum sulla giustizia; un flop che, in verità, non sorprende neppure un po' e che costituisce un nuovo problema che si aggiunge ai molti già esistenti, cioè, una sostanziale riforma dello strumento referendario.