DI STEFANO CASINI 

Fabrizio D’Alessandro, 22 anni, membro del COMITES più giovane, è diventato un punto di riferimento. Ci tiene a dire “non ho ancora il titolo di Professore”, ma é già un provetto professore d’Italiano che lavora in un Patronato e in forma gratuita da lezioni di italiano nell’Associazione che, negli ultimi 2 anni e grazie al suo gruppo di giovani, è tornata ad essere il nord della nostra comunità: l’Associazione Calabrese. 

Fabrizio è nato in Uruguay ma é nipote di nonni calabresi che, da piccolo, gli hanno insegnato tradizioni e costumi: é per questo che, detto dagli alunni stessi, le sue lezioni sono molto attraenti perché non soltanto insegna la nostra lingua (e lo fa molto bene) ma la insegna attraverso le nostre tradizioni. Non ha peli sulla lingua e come giovane di sangue italiano non ha risparmiato in critiche, un po’ di qua e un po’ di là.

 

Fabrizio quando giunsi in Uruguay nel lontano 1965 vivevano circa 10.000 italiani di cui 4.000 eravamo nati in Italia. Oggi abbiamo 135.000 italiani di passaporto e meno di 3000 nati in Italia. Mezzo secolo fa le attività di enti, associazioni, organizzazioni italiane, centri di studio ecc. erano attivissime migliaia, oggi sono tanto poche che pare avere una comunità scomparsa. Cosa ne pensi?

“Tornare agli anni ‘70 è impossibile, tutti lo sappiamo, ma la cosa più importante é dare lo spazio. Se non c’é spazio per le nuove generazioni ma anche per gli uruguaiani che amano l’Italia, non può funzionare niente. Di corsi di italiano ce ne sono tanti in diverse associazioni e molto buone, ma il nostro lavoro é quello di integrare tutti, avvicinarli alle nostre associazioni e non solo alle associazioni, ma anche alla Collettività. Per esempio, c’é la Festa della Repubblica, la festa del 2 Giugno e noi diamo l’argomento alla lezione ma anche invitiamo tutti ad imparare la storia. Le nuove generazioni stiamo cercando di integrare tutti, non soltanto i figli, nipoti o pronipoti di italiani, ma anche coloro che amano la nostra arte, la nostra cucina, il nostro Made in Italy. Poi è anche vero che, in piccolissima percentuale, ci sono delle persone che devono imparare l’Italiano per la nuova legge sulla Cittadinanza, secondo la quale c’é bisogno di sapere un minimo di Italiano. Nel mio caso, di oltre 30 alunni che abbiamo nella Calabrese, solo 2 vanno al corso per questa ragione. 

Il nostro lavoro, almeno come lo concepiamo, deve essere l’integrazione di queste persone, non soltanto quelle che portano il nostro sangue, ma anche quelle che amano l’Italia: e sono tante. E il nostro lavoro e personalmente lo prendo come un compromesso, é quello di farli partecipare. Perché tutti coloro che si iscrivono a un Corso d’Italiano, lo fanno perché vogliono. Uno va a scuola a imparare matematica, storia o geografia, ma non va, volontariamente, a imparare l’Italiano. Dobbiamo coinvolgere tutti a lavorare e sentire l’italianità. Dobbiamo soprattutto ascoltare queste persone.

Molti dei tuoi alunni dei tuoi corsi sono giovani. Quali sono i loro obiettivi per quanto riguarda imparare l’Italiano?

“Vogliono cose di giovani e ovviamente devono integrarsi con i più grandi e, in quel senso, é importante l’integrazione. Nei miei corsi ci sono Pérez, Álvarez, persone che non hanno sangue italiano.”

Nella comunità, o quel che rimane, ci sono persone che, da anni, in un certo senso, controllano tutto, anche attraverso il COMITES, di cui tu fai parte. Secondo te, integrano  o separano?

“Separano ovviamente, non ci aiutano, non aiutano i connazionali e gli uruguaiani all’integrazione, ne sono convinto, perché, se loro lasciassero entrare, partecipare tutti potrebbe esistere una comunità piú sana. Poi lo stesso COMITES, nel quale né il Presidente, né il Vicepresidente, né la Segretaria parlano italiano nel nostro piccolo parlamentino che possiamo pensare!!!! non c’é spazio per i giovani, non ci lasciano lo spazio per aiutarli, vogliono controllare tutto é troppo evidente: lo spazio non ce lo danno. 

Se qualcuno, nel futuro, potesse integrare invece di dividere o dominare, sicuramente la collettività sarebbe molto diversa. La comunità deve fare questo cambio generazionale e di concetto di integrazione perché continuiamo a vedere come scompare tutto: dalla cultura all’arte e soprattutto le nostre tradizioni e costumi. Noi abbiamo qualcosa che altre comunità non hanno. Abbiamo una semplicità con eleganza. Si dice “italiano” e tutti aprono gli occhi, ti vendo questa torta, una ricetta nuova e la vogliono provare, il Made in Italy… di questo dobbiamo approfittare. Abbiamo in mano la possibilità di cambiare questa situazione, ma abbiamo bisogno di aiuto e collaborazione da parte di quelli che ancora “controllano” la nostra comunità. Se tutti lasciassimo quella poltrona assurda, se invece di farsi i fatti propri si cominciasse a fare gli interessi collettivi, sicuramente potremmo essere una comunità come tante altre che lavorano in Uruguay, che sono molto più piccole della nostra, ma lo fanno bene.”                                                                    

Abbiamo anche una rappresentanza diplomatica. Cosa ne pensi di quella che abbiamo oggi? La presenza delle autorità italiane odierne è preparata?

“Da sempre sappiamo che abbiamo rappresentanti impreparati e le conseguenze, purtroppo, le soffriamo quando andiamo a chiedere un rinnovo di passaporto o la cittadinanza per un nostro discendente. Funziona tutto male e la gente lo vede. D’altra parte, vediamo che le nostre autorità, in realtá sono inesistenti. Penso che c’é un’apatia, magari la voglia di andare, ogni tanto, alle nostre feste, “pour la galerie”, ma ovviamente non è sufficiente. Un corpo diplomatico deve  lavorare a fianco della collettività. Pare che al nostro corpo diplomatico e consolare non gliene importa niente della comunità italiana. Per esempio, sono stati spesi tanti soldi per la diffusione delle elezioni o dei referendum, lo Stato italiano paga questi soldi. Io, che sono sempre sintonizzato con la nostra comunità, non ha mai sentito niente fuori da GENTE D’ITALIA o Spazio Italia. Dove sono andati a finire questi soldi? Non c’é una diffusione. Lo vedo in altre comunità etniche molto più piccole della nostra dove si fa molto di più con molto di meno. É fondamentale che le autorità diplomatiche siano un punto di riferimento per diffondere. Non si diffonde niente ma, dico sempre lo stesso: se c’é voglia, le cose si fanno e si possono cambiare… e se no, soltanto si cerca di fare bella figura” 

STEFANO CASINI