Giuseppe Conte (foto: depositphotos)

di Ugo Magri

Puntuale, quando tira aria di crisi, riciccia il Presidente Castigamatti: quell’anziano signore incazzoso che dall’alto del Colle fulmina chiunque osi turbare la quiete. Giove Tonante non tollera minacce alla sua creatura adorata, il governo delle larghissime intese guidato dal Migliore di tutti, Super Mario Draghi. Dunque ci pensa lui a “blindarlo” con richiami, moniti, strigliate, tirate d’orecchie, aggrottamento di sopracciglia; qualora non bastino le lavate di capo, sfodera l’”arma di fine di mondo” che consiste nel mandare tutti a casa ed eleggere un nuovo Parlamento al posto degli smidollati attuali. Fisicato come Terminator, implacabile quanto il Giustiziere della Notte: ecco i cliché di cui il Quirinale è vittima (e che a qualcuno fa comodo alimentare) quando l’attuale capo dello Stato viene rappresentato come un Sandro Pertini, senza la pipa ma altrettanto fumantino; o come “Re” Giorgio Napolitano, implacabile fustigatore dei partiti; per non parlare di Francesco Cossiga, indimenticato “Picconatore”. Ci si attende che il successore metta tutti in riga con le loro stesse metodiche, salvo eclissarsi non appena l’ordine verrà ristabilito, lasciando l’intera scena al premier e ai nostri cari leader.

Nel mondo reale non funziona così. O perlomeno, così non funziona nel caso di Mattarella. Sarebbe zuccheroso dipingerlo come un profeta disarmato; gli artigli Sergio ce li ha e ogni tanto li fa balenare com’era tipico nella Democrazia cristiana, la palestra da cui proviene e dove sopravvivere era una lotta bestiale; però l’uomo predilige altre tecniche, meno sanguinarie, più affini alla sua vera indole; ed è assurdo che dopo sette anni ancora si cada nell’equivoco. Per esempio, sui suoi rapporti con Giuseppe Conte. L’idea che il presidente voglia metterlo spalle al muro, “o mangi la minestra di Draghi o salti dalla finestra”, può insaporire la narrazione, renderla più gustosa per quelli di bocca buona. Peccato che sia l’esatto opposto di quanto è accaduto finora.

Per i Cinque Stelle Mattarella da sempre ha un debole. Quando il “campo largo” della sinistra ancora non esisteva, già allora lui era pronto a sacrificare il vitello grasso per festeggiare il ritorno degli “anti-tutto” nel sistema. Aldo Moro, il suo maestro politico, avrebbe voluto inglobare il Pci di Enrico Berlinguer, un programma all’altezza dei tempi; lui ha dovuto accontentarsi di molto meno, per giunta è passato attraverso delusioni cocenti (vedi la richiesta di impeachment lanciata contro di lui da Luigi Di Maio, allora infatuato di Salvini e dei gilet gialli); ma la maturazione successiva del grillismo è stata pure merito suo. Se questo processo verrà rinnegato nel nome del terrapiattismo, di una cosa possiamo star certi: non sarà Mattarella a fornirne il pretesto con ultimatum, ukase, altolà. Fino all’ultimo cercherà di smussare gli spigoli, di addolcire i toni e di riannodare i fili magari suggerendo a Draghi (molto riservatamente, per non ferirne l’orgoglio) qualche gesto distensivo verso Conte, tipo quando si è discusso il testo della mozione parlamentare sulle armi all’Ucraina. Alte personalità governative garantiscono: Draghi è stato generoso, Mattarella ci ha messo del suo. Anche in futuro sarà così.

Quanto alla minaccia di sciogliere le Camere, non se ne comprende il perché. Ci si potrebbe arrivare qualora Conte - passi il francesismo - la facesse fuori del vaso e, nel tentativo di sfilare i Cinque stelle dalla maggioranza draghista, abbattesse il castello di carte restandone sepolto. Come cappottarsi in un parcheggio. Senza i grillini il Pd non avrebbe sponde, nel governo la Lega diventerebbe centrale, e figuriamoci se il Capitano rinuncerebbe ad approfittarne provocando ulteriori sconquassi. In quel caso sì, certamente, le larghe intese farebbero una finaccia. Per cui meglio che l’Avvocato del popolo ci vada piano. Ma se se lo statista di Volturara Appula aprisse la crisi, con una guerra in corso, con una pandemia, con l’inflazione al galoppo, con la siccità, con gli Azzurri esclusi dai Mondiali, senza tralasciare i fondi europei in sospeso e tutte le altre tragedie croniche di questo sventurato Paese, lo sbocco finale sarebbe un enigma. Elezioni o no?

Nei suoi colloqui privati Mattarella è una sfinge. Pone domande, ascolta, prende nota. Senza mai trasmettere certezze. Anche qui, la grande scuola scudocrociata. Per cui non è detto che scioglierebbe convocando nuove elezioni. Magari prima verificherebbe se questo governo dispone dei numeri in Parlamento, rinviando Draghi davanti alle Camere. Così a quel punto, come nelle commedie goldoniane, potrebbe accadere di tutto: perfino nulla.