di Alessandro De Angelis

Il famoso "segnale" per parlare a nuora (sindacati) perché suocera (Conte) intenda, segnale in cui, con l'alta benedizione quirinalizia, si riponeva anche a palazzo Chigi un gran fiducia per depotenziare una crisi strisciante, ha funzionato fino a un certo punto perché i sindacati, anche la più moderata Cisl, hanno considerato interlocutorio l'incontro, ritenendo imprescindibile quello "scostamento" di bilancio che il premier non è disposto a concedere.

E per questo Draghi, raccontato dal suo linguaggio del corpo (e da alcuni passaggi verbali) come piuttosto esausto, e in fondo affaticato da questo tentativo di dipanare una matassa che non ha nelle corde, ha dovuto affidarsi anche ad alcuni messaggi politici. Anche qui, "segnali" di un gioco tutto politicante che ne ha assorbito del tutto la forza dell'antica terzietà: dal ribadire che senza Cinque stelle non c'è governo, che quel famoso documento rispecchia l'agenda di governo e, anche, un passaggio particolarmente duro verso chi (vai alla voce: Salvini) minaccia sfracelli a settembre.

Insomma, si capisce che il premier preferisce che non cambi nulla nell'assetto governativo, per tante ragioni: il Quirinale suggerisce di fare così, Enrico Letta, terrorizzato dall'eventualità di ritrovarsi in un governo con il baricentro nel centrodestra e con i Cinque stelle all'opposizione e ancor più terrorizzato dall'andare al voto col centrodestra che dà la colpa a Conte e fa una campagna elettorale contro Pd e Cinque stelle divisi.

Il problema è questo: è impossibile che, alla fine di questa storia, vincano tutti. Perché se Conte, che di fronte a una spaccatura interna non banale ha diramato un comunicato di silenzio degno del Cremlino dei bei tempi, si produrrà in una piroetta votando la fiducia giovedì, perde la faccia. Se invece Draghi sarà disposto a giustificare ciò che, in altri tempi, sarebbe stato considerato uno scempio della democrazia parlamentare, dove la forma è sostanza, perde la sua di faccia e legittima un precedente che rischia di trasformare palazzo Madama in un "via vai", in cui ognuno si sentirà libero di uscire senza pagare dazio.

L'ipotesi, al momento, è che i Cinque stelle possano, nel contempo, rimanere al governo in nome del confronto, di qui a fine luglio, sui famosi nove punti e non votare la fiducia giovedì al Senato. Un Aventino giustificato come un escamotage "tecnico" e non per quello che è, un atto di clamoroso dissenso politico. Mica male: non si vota la fiducia a un governo si cui si fa parte e i ministri restano incollati alla poltrona. Qualcuno dirà "che vuoi che sia", in fondo pezzi di Lega non votarono il Green Pass o Renzi non ha votato qualche provvedimento (peccato che non erano fiducie), e vai così. E peccato che, proprio perché si tratta di fiducia, si sancirebbe la trasformazione del governo Draghi in un governo "a la carte", solutus dal Parlamento dove si va avanti facendo finta di non vedere.

Per salvare l'apparenza (e la faccia) l'unica via sarebbe di tornare in Parlamento per un nuovo voto di fiducia su un programma di fine legislatura, nel tentativo di assicurarne un epilogo ordinato. Non è dato sapere se, una volta incassata la fiducia mutilata, sia questo l'orientamento del Quirinale e del premier. È chiaro sin d'ora però che la coperta è corta e questa estenuante "trattativa Stato-Cinque stelle", in cui alle convulsioni del Cavalier Tentenna, alias Giuseppe Conte, è appeso l'intero mondo istituzionale italiano ha già conseguenze a destra. Non si è spaventato più di tanto Salvini a sentire le parole di Draghi, cui ha risposto chiedendo uno scostamento da 50 miliardi, lo stralcio della norma sui taxi dal decreto concorrenza e la pace fiscale e già ha chiesto, assieme a Berlusconi, una verifica di governo. La destra dirà che è un fatto grave il non voto dei Cinque stelle sulla fiducia. E così si ricomincia, sull'altro fronte. Domanda: che succede, avallato il precedente, se la Lega non vota il decreto concorrenza? Ciò che vale per il termovalorizzatore vale anche sui taxi o no?

Ecco, s'ode da una parte uno squillo di tromba, dall'altra risponde uno squillo. It's too little, too late: troppo poco, troppo tardi per evitare un casino annunciato. L'assenza di una gestione politica della crisi ha trasformato il prosieguo della legislatura in una via crucis, con lo spirito più della Quaresima che della Resurrezione.