di Sandra Echenique
Si chiama Cristino Bouvette, ha 36 anni, è un sacerdote canadaese, originario di Calgary. Sarà il punto di riferimento di Papa Francesco nella sua prossima visita in Canada in programma dal 24 al 29 luglio. Niente di particolare si potrebbe aggiungere, succede sempre così. Invece no. Padre Cristino Bouvette sarà una figura di enorme rilievo tra poco più di una settimana. Dal nome si può capire, ha origini italiane, per la mamma, ma anche indigeno dal lato del padre e sua nonna, ecco l'aspetto più importante, è stata una sopravvissuta di una scuola residenziale. "Ho entrambi i mondi che si sono uniti - ha detto - questo nuovo ruolo penso si adatti in modo particolare a me. Se nella provvidenza Dio ha organizzato le cose affinchè io ne faccia parte in questo modo, sono onorato di farlo". C'è una enorme tragedia dietro a tutto ciò: si stima infatti che siano stati quasi 150.000 i bambini indigeni costretti a frequentare le 'residential school' volute dal Canada per oltre un secolo, con la Chiesa di Roma che ne gestiva circa il 60%. Quegli istituti erano nati per allontanare i minori nativi dalle loro famiglie per assimilarli alla cultura occidentale. Molti sopravvissuti hanno raccontato di vere e proprie violenze che si consumavano, abusi di ogni genere. Un orrore che ha portato alla scoperta anche di fosse comuni, mentre nel 2015 un rapporto portò alla identificazione di 3.200 bambini morti in queste scuole. Una tragedia enorme. E padre Bouvette è stato nominato direttore liturgico nazionale per la prima visita del Pontefice in Canada. Il tema del viaggio è 'Camminare insieme' e il Papa incontrerà rappresentanti della comunità indigena e sopravvissuti di quelle scuole dell'orrore. Bouvette, nel suo nuovo ruolo, dovrà collaborare con gli organizzatori locali e l'ufficio liturgico del Vaticano al fine di garantire che tutte le cerimonie previste riflettano sia il Paese che le ospita che la Chiesa cattolica. Un ruolo delicato... "E subito ho capito - ha raccontato il sacerdote le sue emozioni appena è stato contattato all'inizio dell'anno - che non volevo farlo. Troppo grande, non avevo dubbi che sarebbe stato complicato, avevo paura di fare qualcosa di sbagliato". Essere un prete indigeno non è facile visto quello che la Chiesa di Roma ha fatto nel passato. Adesso padre Bouvette ha accettato il suo ruolo: "Ma mi riempie di paura". È il pensiero di dover promuovere una riconciliazione tra il suo popolo, i nativi, e la sua chiesa, quella cattolica. "Il fardello più grande è la sensazione che tante persone contano su di me per dire o fare la cosa giusta al momento giusto". La nonna, Amelia Mae Bouvette, aveva sette anni quando fu costretta a lasciare la sua famiglia nella Saddle Lake Cree Nation, nello stato di Alberta per frequentare la Edmonton Residential School che era gestita dalla United Church. Una sopravvissuta e quando poi Cristino le disse che sarebbe diventato prete la risposta fu che lei aveva incontrato buone suore e preti nella sua vita e sperava che il nipote diventasse uno di loro. La nonna è morta alla soglie dei cento anni nel 2019, ma non c'è dubbio che avesse ragione. E padre Bouvette ha già detto che la visita di Papa Francesco, con le scuse che saranno riproposte,  onorerà tradizioni e costumi indigeni.