Movimento 5 Stelle (foto depositphotos)

di Vincenzo Vitale

Molti ricorderanno, dai tempi del liceo, la storiella che i professori di filosofia erano soliti narrare, allo scopo di convincere i propri alunni della imprescindibilità della filosofia stessa come necessario esercizio del pensiero. Di ogni pensiero. Narravano, infatti, di quel tale che, endemicamente avverso a ogni forma di sapere filosofico, un bel giorno pensò di mettere nero su bianco le sue molte ragioni, allo scopo di comunicare a un potenziale numero rilevante di lettori perché si dovesse escludere la filosofia dal novero dei programmi scolastici. Fu così che costui, terminata l’esposizione delle sue argomentazioni, si trovò fra le mani un grosso testo di circa 400 pagine, che non esitò a trasmettere all’editore. Ma grande fu il suo disappunto quando questi lo ringraziò, comunicandogli che avrebbe pubblicato l’opera in una ben nota collana di testi filosofici: senza avvedersene, infatti, egli aveva scritto, per avversare il sapere filosofico, un pregevole volume di genuina filosofia. Insomma, per criticare la filosofia bisogna usare argomenti filosofici: non se ne esce e da qui la sua imprescindibilità.

Allo stesso modo, quando il Movimento Cinque Stelle ha fatto il suo esordio sul palcoscenico pubblico italiano, dandosi come scopo specifico quello di combattere la politica nel nome dell’“antipolitica”, manifestava a tutti, senza che i suoi stessi protagonisti lo comprendessero, che la propria sorte era già segnata fin dall’inizio. Le vicende che in questi giorni travagliano il partito di Beppe Grillo lo dimostrano in modo significativo. I pentastellati si stanno sfaldando giorno dopo giorno in un lento, inarrestabile e perfino imbarazzante cammino di dissoluzione davanti agli occhi dei propri elettori, proprio perché per combattere la politica bisogna fare politica: non se ne esce e da qui l’imprescindibilità della politica. Solo che forse Grillo e Gianroberto Casaleggionon ne erano pienamente consapevoli nel corso di quegli anni in cui predicavano, da tutte le piazze d’Italia, che avrebbero aperto il Parlamento come una scatoletta di tonno. Pensavano forse – e inducevano a pensare milioni di italiani – che sarebbe bastato ottenere un certo numero di parlamentari allo scopo di scardinare il sistema politico italiano, introducendo nuove modalità di scelta e nuove opzioni. Nulla di più ingenuo e fuorviante. Quali modalità, quali opzioni se non quelle stesse che da secoli la politica conosce e mette in opera anche allo scopo – se vi riesca – di riformare se stessa?

Fuoriuscire dalla politica – come dettato dalle norme costituzionali e dalla consuetudine parlamentare e istituzionale – è possibile non più che fuoriuscire dalla propria pelle. Per questo, il partito dei pentastellati si dissolve, non per insipienza di questo o di quell’altro dei suoi protagonisti: perché esso, in linea di principio, pretendeva di destrutturare la politica, inaugurando una nuova gestione pubblica nel nome dell’antipolitica, cosa impossibile. Per questo Luigi Di Maio, che l’ha capito, ha abbandonato il partito collocandosi in un agone politico vero e proprio; per questo molti lo hanno seguito e altri lo seguiranno. Per questo, i pentastellati erano già finiti nel momento della loro nascita. Ma non lo sapevano.