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di Antonio Preiti

Nota al margine, ma non molto, a dire il vero, anzi piuttosto centrale di questo avvio della campagna elettorale, sul presidenzialismo. Da quanto si legge, la difficoltà di riconferma di Stefano Ceccanti nelle liste del Pd, risiederebbe nel suo sostegno a un sistema semipresidenziale alla francese. In sostanza - sembra di capire - davanti a uno scontro frontale sul presidenzialismo, la posizione di sinistra sarebbe "indebolita" dalla presenza di una persona estremamente competente e sostenitore di un sistema di semi-presidenzialismo alla francese.

La situazione è davvero paradossale per una serie di motivi. Il primo è che il sistema elettorale su cui si basa il presidenzialismo alla francese è fondato sul sistema elettorale a doppio turno, quello che il Pd ha sempre sostenuto, ma che non si è mai realizzato, perché il centro-destra (da sempre) pensa di essere sfavorito dalla semplice circostanza che si voti due volte anziché una. Bisognerebbe capire perché, ma così è.

Se il sistema elettorale francese è da sempre sostenuto dal Pd, evidentemente il problema starebbe nella figura del Presidente. La difficoltà sarebbe allora di avere un presidente con poteri esecutivi. Vero è che il Presidente francese deve sempre fare i conti con un governo che non sempre, e non necessariamente, coincide con la sua maggioranza. La famosa condizione di "coabitazione", in cui, allo stesso tempo, viene eletto un Presidente da una maggioranza e un Parlamento da una maggioranza diversa. Né nell'un caso (maggioranza identica tra Presidente e Parlamento), né nell'altro (maggioranza del Presidente diversa da quella del Governo) vi è mai stata una menomazione della democrazia in Francia. Si può essere favorevoli o contrari a una Costituzione così fatta, ma non c'è alcun pericolo per la democrazia.

Quello che conta, alla fine, non sono i sistemi elettorali, ma i programmi politici, o i progetti per cui s'intende cambiare un sistema elettorale o una Costituzione. Negli Stati Uniti c'è da sempre un sistema costituzionale in cui il Presidente viene eletto direttamente dalla popolazione, ha amplissimi poteri, ma questo non ha comportato mai, sia con i Repubblicani che con i Democratici, pericoli per la democrazia. Negli Stati uniti c'è un sistema molto potente di check & balance (controlli e contrappesi) che mettono in equilibrio il sistema: ogni stato legifera autonomamente su gran parte delle materie, perciò indipendentemente dal Presidente; il Parlamento ha grandi poteri; sistemi di garanzia ugualmente ampi e largamente esercitati, come la vicenda Trump sta dimostrando non solo adesso, ma anche durante il periodo in cui era Presidente.

Perciò se l'idea del presidenzialismo del centro-destra italiano è quella del tipo "chi vince piglia tutto", perciò senza garanzie costituzionali per l'opposizione, senza il controllo di organismi indipendenti e con leggi liberticide, è evidente che questo presidenzialismo non è né condivisibile, né lontanamente accettabile, solo perché in altri paesi sistemi presidenzialistici sono democratici e garantisti.

Per creare una democrazia illiberale non è necessario però il presidenzialismo. Prendiamo il caso esemplare dell'Ungheria di Orbàn. Quest'ultimo non è il Presidente del Paese, e neppure il paese ha un sistema presidenziale: è il capo del governo. Nelle elezioni del 2018 ha avuto il 49,3% dei voti e 133 seggi su 199, perciò un'ampia maggioranza. Nell'aprile di quest'anno Orbàn ha di nuovo vinto le elezioni, questa volta con il 53,3% dei voti, ottenendo 135 seggi su 199, perciò con una maggioranza dei due/terzi del Parlamento. Questa sua debordante maggioranza gli ha permesso di approvare le leggi liberticide e di creare appunto una democrazia del tutto illiberale. È la maggioranza che glielo ha permesso, non il sistema costituzionale, e naturalmente le sue intenzioni politiche. Intenzioni illiberali da un lato e maggioranza elettorale dall'altro hanno costruito il caso Ungheria". Per di più, e paradosso nel paradosso, il sistema elettorale ungherese è un "Rosatellum", perché prevede l'assegnazione di 106 seggi su 199 in collegi uninominali con sistema maggioritario e i restanti 93 seggi sono aggiudicati con il sistema proporzionale. In sostanza cambia solo il peso di ciascuna fetta, ma la torta è identica al "Rosatellum".

Questa situazione si potrebbe creare anche il Italia se il centro-destra avesse le stesse intenzioni e se raggiungesse i due/terzi dei seggi del Parlamento. Perciò non è il sistema presidenziale in sé, e meno che mai il sistema semipresidenziale francese, che rappresenta il pericolo. Allora sarebbe bene che, con competenza e chiarezza, si dirimesse questo punto: il sistema presidenziale (quale dei tanti possibili?) serve a rendere più stabile la politica italiana? O serve per creare più facilmente un sistema illiberale? Nel primo caso, allora occorre entrare nel merito, assestare il sistema, creare controlli e garanzie, creare dei contrappesi, cambiare il sistema elettorale in maniera conforme (il doppio turno permette insieme il massimo della rappresentazione delle posizioni politiche al primo giro, e il massimo della decisione su chi debba governare al secondo). Le parole non sono totem, e neppure tabù, soprattutto non lo è il presidenzialismo.