DI CLAUDIO PAUDICE

Il 12 luglio del 1983 "Long John" Giorgio Chinaglia diventa presidente della Lazio, a Santiago del Cile manifestanti protestano contro il regime di Pinochet, Dario Fo e Franca Rame ricevono l'ok per esibirsi al Public Theatre di New York. Eventi di poco conto rispetto a un episodio destinato a segnare la storia della Repubblica parlamentare italiana: la prima elezione di Pier Ferdinando Casini alla Camera dei Deputati. Con la IX legislatura iniziò il lungo viaggio di uno dei politici più longevi del Parlamento e non ancora arrivato a conclusione. Aveva 27 anni, oggi ne ha 66 ma da allora non ha mai saltato un giro di giostra: l'ex democristiano e storico collaboratore di Arnaldo Forlani ha battuto a Bologna il candidato del centrodestra Vittorio Sgarbi dopo un testa a testa iniziale che aveva fatto temere il peggio a spoglio ancora in corso. Invece il distacco è stato netto (40% contro il 32% del critico d'arte) entrando così al Senato della Repubblica per la terza volta nella sua carriera. Sommate alle otto elezioni a Montecitorio, il controverso candidato del centrosinistra segna sul tabellino le undici legislature, se si escludono i due mandati come europarlamentare. Casini guida senza dubbio la classifica dei promossi uscita dal voto di domenica.

Tra i nomi noti e un po' scoloriti c'è anche quello di Bruno Tabacci. Nel 1983, quando Casini attraversava per la prima volta il Transatlantico, lui era già consigliere comunale di Mantova. Diventerà successivamente presidente della Regione Lombardia e solo nel 1992 arriva a Montecitorio sempre in quota Democrazia Cristiana. Dopo una parentesi come consigliere di amministrazione di società di Stato come Eni e Snam, nel 2001 ritorna in Parlamento come Udc e ci resta fino al 2008 quando abbandona il partito in polemica proprio con Casini e Lorenzo Cesa. Ha avuto una carriera parlamentare più discontinua rispetto al candidato bolognese eppure l'esperienza gli è tornata utile: vittorioso nel collegio di Milano-Loreto battendo il vicepresidente della Camera, Andrea Mandelli, di Forza Italia, è l'unico eletto della lista Impegno Civico, nata per dare al ministro degli Esteri Luigi Di Maio la possibilità di farsi eleggere senza raccogliere le firme, e costretto più nolente che volente a dover rispettare il limite dei due mandati anche una volta uscito dal Movimento: l'ex leader grillino, com'è noto, non è stato eletto.

A proposito di Lorenzo Cesa, altra vecchia volpe democristiana, anche lui è stato eletto ma nelle file del centrodestra alla Camera in Molise. Al Senato ce l'ha fatta invece l'attuale patron della Lazio Claudio Lotito, candidato in quota Forza Italia. Vince anche Daniela Santanché, un tempo amazzone del berlusconismo passata in tempi non sospetti con Fratelli d'Italia. Nel collegio di Cremona per il Senato ha stracciato Carlo Cottarelli, l'ex Fondo Monetario e premier senza governo durante la crisi politica successiva alle elezioni del 2018, che viene tuttavia salvato e tirato in Parlamento grazie al listino proporzionale.

Degno di menzione, per quanto scontata, è Silvio Berlusconi che torna nel Senato dopo esserne stato cacciato: nel 2013 decadde dall'incarico a causa dalla legge Severino dopo la condanna passata in giudicato per il processo Mediaset. Eletta anche la sua compagna Marta Fascina, al suo secondo mandato dopo la legislatura appena conclusa: andrà alla Camera per il collegio di Marsala (Trapani), dove era candidata nell'uninominale. Nelle scorse settimane era stata sollevata una polemica per la mancata presenza di Fascina nel suo collegio. In un primo momento si era parlato di un comizio insieme al suo Silvio, ma a quanto pare non ce n'è stato  bisogno.

Come Fascina eletta in quota forzista anche Michela Vittoria Brambilla, nota sostenitrice dei diritti degli animali e pure nota assenteista con meno dell'1% delle presenze in Aula a Montecitorio nella legislatura uscente. Altro promosso è Giulio Terzi di Sant'Agata, ex ministro degli Esteri del governo Monti candidato con Giorgia Meloni, stato eletto con il 60,28% delle preferenze al Senato nel collegio uninominale di Treviglio, in provincia di Bergamo, dove il ministro uscente Mariastella Gelmini, del Terzo polo, è arrivata terza con l'8,12% dei voti. Tra i promossi a 5 Stelle invece il più altisonante è il nome di Roberto Scarpinato, ex pubblico ministero di Palermo.

Dalla tv a Montecitorio, è il salto che farà Rita Dalla Chiesa che ha vinto in Puglia il seggio uninominale. Candidata da Forza Italia nel collegio Bari- Molfetta, ha raccolto 78.920 voti, il 40,52% delle preferenze. La conduttrice ha staccato di circa 15 punti il pentastellato Nicola Grasso (25,87%), costituzionalista, e l'ex sindaco di Bitonto, Michele Abbaticchio (25,13%), "delfino" del sindaco di Bari, Antonio Decaro.

Ma per chiudere il cerchio dei promossi si deve tornare al punto di partenza, alla lontana estate del 1983, quando in seguito alle elezioni parlamentari nacque il primo governo guidato da leader del Psi Bettino Craxi. Alle elezioni di domenica si è tenuta una disfida a distanza tra i suoi figli in Sicilia, nella quale l'ha spuntata Stefania: in corsa per il Senato con la destra, nel collegio uninominale di Gela ha vinto con oltre il 37%; davanti a Pietro Lorefice del M5s, 30,13%; e Maria Castiglione del centrosinistra, 15,78%. Il fratello Bobo, candidato con il centrosinistra alla Camera, nel collegio uninominale di Palermo, quartiere Resuttana, è arrivato solo terzo con il 15%.