di Ottorino Gurgo
Non parleremo del trionfo, annunciato, ma ottenuto in misura al di là delle sue stesse previsioni, ottenuto da Giorgia Meloni. Ne hanno parlato già in molti, anche tra coloro che, alla vigilia del voto, la avversavano e ora ne tessono le lodi, pronti ad adeguarsi al costante costume italico che spinge a salire sul carro del vincitore.
L'attenzione dei più - anche perché la Meloni è la prima donna a sedere sulla poltrona di Palazzo Chigi ,si concentra sulla leader di Fratelli d'Italia, ma non è privo di interesse neppure il fatto che due protagonisti di quello che Silvio Berlusconi ha definito "il teatrino della politica", alla luce dei risultati di domenica scorsa, siano clamorosamente in procinto di lasciare la scena.
La cosa, considerato il vecchio detto secondo cui la politica cammina con le gambe degli uomini, potrà avere, nel prossimo futuro non irrilevanti conseguenze.
Parliamo di Enrico Letta e di Matteo Salvini, sconfitti entrambi in modo estremamente pesante e destinati a perdere ad una scadenza non troppo lontana, la leadership dei rispettivi partiti.
Partiamo da Letta che, giocando di contropiede, ha subito annunciato l'imminente celebrazione del congresso del partito al quale non ripresenterà la propria candidatura alla segreteria.
Letta ha perso proprio perché non è stato in grado di realizzare l'obiettivo per il quale era stato chiamato a succedere a Nicola Zingaretti: riunificare lo schieramento di centrosinistra. Se fosse riuscito in questa impresa, probabilmente, il centrosinistra, anziché uscire umiliato dal confronto con il centrodestra, ne sarebbe uscito vincitore. Non c'è riuscito ed ha invece fondato la sua strategia sull'alleanza con i cinquestelle di Giuseppe Conte che lo hanno infine "tradito" provocando la caduta di Mario Draghi e rendendo inevitabile il ricorso ad elezioni anticipate.
Colui che prenderà il posto di Letta si troverà a dover affrontare un compito estremamente difficile, ma per cercare di risalire la china, dovrà fare l'esatto opposto di quel che ha fatto il suo predecessore: ricostruire il partito anziché ricercare alleanze "di comodo"
Avremo, inoltre, molte meno occasioni di vedere in TV la faccia feroce di Letta.. Non ce ne dorremo più di tanto. Come non ci dorremo più di tanto di non vedere più la faccia feroce di Matteo Salvini, protagonista di un fiasco di dimensioni simili a quello di Letta.
Salvini era il terribile ministro degli Interni che apertamente mirava ad assumere la guida del paese e, poi, quantomeno della coalizione di centrodestra contestando la leadership della Meloni che lo ha distanziato di quasi il venti per cento.
Ora, anche se non si parla di una sua defenestrazione immediata, i leghisti - tutti e non soltanto i nostalgici di Bossi - non fanno mistero di auspicare il suo allontanamento dal vertice del partito che ha guidato con ingiustificato autoritarismo privilegiando la sua personale amicizia con Putin che lo ha portato a compiere, nel pieno della campagna elettorale, una serie di imperdonabili "gaffes" che hanno contribuito al tracollo del Carroccio. E già si mormora il nome di colui che potrebbe sostituirlo: Giancarlo Giorgetti, meno incauto, più "diplomatico", in un certo senso più politico. A meno che non prevalga la spinta di coloro, e non sono pochi, che sostengono l'opportunità di un ritorno alle origini facendo della Lega un partito prevalentemente nordista.
Il "teatrino" dovrà dunque fare a meno, a non lontana scadenza, di due dei suoi interpreti. Ma per come hanno dimostrato di recitare la loro parte, non avremo da rattristarcene.
Ottorino Gurgo