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di Livia Paccarié

Suona la campanella della scuola, ma non solo per gli studenti richiamati sui banchi, anche per le istituzioni. E più che una campanella è un campanello d'allarme: in Italia il 12,7% degli studenti lascia la scuola prima di raggiungere il diploma. Nel nostro Paese inoltre il 23,1% dei giovani dai 15 ai 29 anni sono Neet (Not in education, employment or training), quindi si trova in un limbo, fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione. Non basta: la nostra percentuale è la più alta dell'Unione europea, oltre il doppio di Francia e Germania. Tra chi invece supera gli esami di maturità, il 9,7% del totale, quasi un diplomato su 10, nel 2022, risulta "senza le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro o dell'Università": Save the Children, nel rapporto 'Alla ricerca del tempo perduto', la definisce dispersione "implicita", connessa all'impoverimento educativo e alla povertà materiale.

Gli studenti sono in crisi, lo dimostrano le lettere che inviano alle redazioni di spazi online dedicati, stanchi che si parli di loro senza dargli voce, appesantiti da due anni di pandemia e da tutto ciò che nella scuola non funziona. "Le crisi globali che stiamo affrontando, la conseguente recessione economica, nonché le interruzioni dei percorsi scolastici, hanno avuto un impatto negativo sia sugli apprendimenti degli studenti e delle studentesse, sia sui redditi delle famiglie, e quindi sulla loro capacità di sostenere i bisogni materiali ed educativi dei figli", scrivono gli autori del rapporto. I dati più recenti testimoniano l'incremento dell'incidenza della povertà assoluta tra i minori, passata dal 13,5% del 2020, al 14,2% del 2021 (pari a 1 milione 382mila bambini), dopo una relativa diminuzione nel 2019, e al tempo stesso della povertà educativa.

In vista della riapertura delle scuole, il rapporto evidenzia alcuni deficit strutturali a livello nazionale e locale, in termini di spazi, servizi e tempi educativi, mettendo in luce un paradosso: laddove la povertà minorile e più alta, e sarebbe dunque importante un'offerta formativa di qualità, "la scuola è più povera, privata di tempo pieno, mense e palestre". Il rapporto segnala una forte disparità geografica nella "dispersione implicita", che risulta più alta in Campania, al 19,8%. "Proprio dove i bambini, le bambine e gli adolescenti affrontano, con le loro famiglie, le maggiori difficoltà economiche c'è al contrario maggior bisogno di un'offerta educativa più ricca", spiega Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children. Per questo, "chiediamo al nuovo governo che si formerà un investimento straordinario che parta dall'attivazione di aree ad alta densità educativà nei territori più deprivati": investire il 5% del Pil, al pari della media europea, vorrebbe dire rendere disponibili circa 93 miliardi, contro i circa 71 stanziati nel 2020. Su questo fronte solo Spagna e Romania fanno peggio di noi in Europa. "Non si tratta di obiettivi irraggiungibili, ma di un investimento irrinunciabile", prosegue Milano. La mensa scolastica per esempio dovrebbe essere "riconosciuta come livello essenziale delle prestazioni (Lep), per garantire a tutti i bambini, nella scuola primaria, almeno un pasto gratuito ed equilibrato al giorno" e il tempo pieno andrebbe esteso a tutte le classi della scuola primaria.

"Siamo chiamati a dare risposte. E dobbiamo farlo in fretta, per non aggravare una situazione già complessa", ha dichiarato Rossano Sasso, sottosegretario del ministero dell'Istruzione. Le scuole "devono essere messe nelle condizioni di poter svolgere il proprio ruolo. Bisogna assicurare la continuità didattica attraverso la stabilizzazione degli insegnanti precari, che possono costituire un punto di riferimento preziosissimo in contesti di particolare fragilità sociale. Ma i docenti vanno anche valorizzati con stipendi adeguati e agevolando gli spostamenti verso i territori di origine. Va rafforzato il tessuto della formazione tecnica e professionale, che presenta dati lusinghieri a livello di opportunità occupazionali, e va ampliato il numero degli insegnanti di sostegno. Ma bisogna anche lavorare su forme di supporto per le famiglie, ad esempio rendendo detraibili fiscalmente tutte le spese sostenute per l'istruzione fino alle scuole superiori. Così si aiutano davvero i cittadini", ha detto. Save the Children cita i dati Invalsi del 2022: se si guarda alle competenze nelle singole materie, in Campania, Calabria e Sicilia più del 60% degli studenti non raggiungono il livello base delle competenze in italiano, mentre quelle in matematica sono disattese dal 70% degli studenti in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. L'abbandono scolastico nella maggior parte delle regioni del sud va ben oltre la media nazionale (del 12,7%), con punte in Sicilia (21,1%) e Puglia (17,6%) e valori decisamente più alti rispetto a Centro e Nord anche in Campania (16,4%) e Calabria (14%). Letti in controluce, i dati dicono la stessa cosa: nelle province dove l'indice di "dispersione implicita" è più basso, le scuole primarie hanno assicurato ai bambini maggior offerta di tempo pieno  (frequentato dal 31,5% degli studenti contro il 24,9% nelle province ad alta dispersione), maggior numero di mense (il 25,9% delle scuole contro il 18,8%), di palestre (42,4% contro 29%) e sono inoltre dotate di certificato di agibilità (47,9% contro 25,3%). Servirebbero - stima l'organizzazione - 1 miliardo e 445 milioni per garantire il tempo pieno in tutte le classi della scuola primaria statale. Un'offerta adeguata di spazi e di tempi educativi può contribuire a ridurre le disuguaglianze educative territoriali.

Se analizziamo la spesa per gradi di istruzione, il nostro paese investe di più nella scuola materna e primaria, e in quella secondaria, raggiungendo posizioni di metà classifica a livello europeo, mentre si trova all'ultimo posto per i finanziamenti all'educazione terziaria. È bene sottolineare però che, rispetto agli altri membri della UE, la spesa in istruzione del nostro paese è assorbita, in modo maggiore, dalle risorse umane, nonostante in media gli stipendi dei docenti italiani siano inferiori alla media OCSE 27. Questo aspetto è dovuto, in parte, al fatto che i docenti italiani sono relativamente più anziani rispetto ai loro colleghi europei (con costi quindi più elevati). Di converso, è più bassa nel nostro paese la quota di investimenti destinati a spazi e tempi adeguati all'apprendimento. Elementi essenziali, sottolinea il report, da un lato per rafforzare le competenze generali, dall'altro per combattere le disuguaglianze.