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di Riccardo Galli

Nelle scuole come nei Pronto Soccorso: protervi e prepotenti, irritanti e perfino stucchevoli nella loro ripetitività. Famiglie, familiari, parenti e all'occorrenza amici che gliela fanno vedere loro...che adesso ci vado io...che adesso si fa così...Famiglie, familiari, parenti e all'occasione amici orgogliosi e pronti a fare banda. Banda che esige, impone, va, se necessario, in spedizione ad ammorbidire o punire i renitenti o recalcitranti. A cosa? Ai diritti della famiglia, della banda, del clan. Diritti senza se e senza ma, i cui confini, se mai esistono, li stabilisce la famiglia, la banda, il clan e nessun altro. Non è questo in fondo l'esito finale e compiuto del dogma socio-politico-pedagogico-elettorale-culturale e informativo secondo cui il cittadino/gente ha sempre ragione? E, tra i diritti non negoziabili c'è ovviamente quello all'uso costante in ogni luogo e in ogni tempo del telefonino.

Non sia mai. Sembrerebbe un'ovvietà quella di spegnere lo smartphone durante le lezioni e invece appare una gigantesca impresa pedagogica. Anzi, per molti alunni e relative famiglie non un'impresa ma una pretesa. Chi sei tu scuola per dirmi di mollare lo smartphone per cinque-sei ore della mia vita? Con quale autorità mi imponi il sacrificio, il sia pur momentaneo esproprio di cosa mia, in questo caso di parte essenziale della mia identità? Perché decidi tu se io chatto no? E poi, comunque, tu scuola a me non mi dici cosa fare o non fare. Tu scuola sei personale di servizio, servitù e devi stare al tuo posto, come ti permetti di mettere le mani sullo smartphone, su uno degli smartphone di famiglia?

Sono valori profondi quelli del bullismo sociale nelle famiglie bulle. Sempre più numerose, sempre più numericamente vicine alla normalità statistica. Valori che se una scuola li intacca chiedendo telefonino fuori dall'aula durante le lezioni, una povera e disorientata alunna (del liceo!) piange. Piange! E allora i parenti, la famiglia, il clan vanno, sentono il dovere di ristabilire l'ordine dei valori e anche, ovviamente, l'onore della famiglia, del clan, della banda. E in banda vanno alla scuola: ha fatto piangere mia sorella, mia figlia! Pentiti, scusati, non lo fare mai più. O sarai punito. O forse ti punisco già adesso se non abbozzi e muto. Tu scuola a mia figlia il diritto allo smartphone e soprattutto il diritto a fare come diciamo noi non lo tocchi. Quindi sempre più spesso sospendere l'uso del telefonino a scuola comporta che alla fine occorre chiamare i Carabinieri. Proprio come urgente e indispensabile è riaprire i posti di Polizia nei Pronto Soccorso, altrimenti parenti in banda irrompono e menano e picchiano e sfasciano.

Se un triage al Pronto Soccorso diventa questione di ordine pubblico, se sospendere il diritto all'uso del telefonino in classe diventa questione di Carabinieri...Allora ci sarebbe equo scambio con la famiglia banda, con le famiglie clan, con la gente il telefonino è mio e mio diritto è farci quel che mi pare quando mi pare. Non la sospensione di questo diritto, neanche in classe, a scuola, durante le lezioni. No, questo no: si lasci alle famiglie clan la piena e totale agibilità all'uso del telefonino da parte della prole. Si sospenda invece l'altro diritto: quello alla scuola. Esisteva una volta la sospensione a scuola. Per qualche giorno o anche per più di qualche giorno. Era repressione? Sì. Repressione dei comportamenti contrari e ostili all'interesse generale. Una bugiarda e ipocrita cultura secondo cui ogni regola è repressione e ogni repressione è abominevole ha ridotto la sospensione a scuola a strumento di inusitata tortura. E invece sarebbe opportuno e democratico, liberale e istruttivo lasciar scegliere alle famiglie: quale diritto scegli di sospendere, quello al telefonino o quello alla scuola? Scegli, fai tu...