di Antonio Cianciullo

Quando abbiamo scoperto, negli anni Ottanta del secolo scorso, che il pianeta si stava riscaldando in maniera anomala, si è cercato di identificare il colpevole. E nell'arco di pochi anni abbiamo capito che era colpa nostra, che bruciando combustibili fossili e foreste stavamo alterando la composizione dell'atmosfera. Il global warming però è così netto e devastante che è difficile non farci caso. Oggi il campo d'indagine si allarga ad anomalie che ci erano sfuggite: nuovi studi mostrano il ruolo determinante dell'intervento umano in fenomeni che fino a ieri abbiamo pensato come naturali.

Ad esempio una ricerca coordinata dall'Istituto sull'inquinamento atmosferico del Cnr e pubblicata su Theoretical and Applied Climatology mostra che c'è lo zampino umano dietro uno dei grandi cicli che influenzano temperatura e piogge. Parliamo dell'Atlantic multidecadal oscillation (Amo).

"Nell'Oceano Atlantico le acque superficiali si riscaldano e si raffreddano con un periodo di circa 60 anni e si è sempre pensato che questo fenomeno fosse dovuto a una variabilità naturale", spiega Antonello Pasini, il ricercatore Cnr-Iia che ha coordinato il progetto a cui hanno partecipato anche Stefano Amendola, del Centro di montagna dell'Aeronautica militare ed Emmanuel Federbusch della Ècole National Supérieure de Techniques Avancées di Parigi. "Abbiamo provato a indagare meglio esaminando un periodo lungo 150 anni attraverso un modello di intelligenza artificiale a reti neurali sviluppato dal Cnr-Iia proprio per le analisi climatiche".

A questo punto è arrivata la sorpresa. Si è scoperto che l'Atlantic multidecadal oscillation non è naturale, ma è un ciclo influenzato da cause antropiche. "Tra gli influssi esterni c'è la presenza di elementi naturali come le polveri vulcaniche", continua Pasini. "Ma un ruolo determinante è giocato dai gas serra e dai solfati. Abbiamo ricostruito al computer l'evoluzione del periodo successivo al 1850 e abbiamo visto che, in assenza di questi elementi che fanno parte del quadro generale dell'inquinamento, l'oscillazione non si sarebbe verificata. È dipesa da elementi come la concentrazione di gas serra e la presenza di polveri contenenti solfati emesse dalle azioni umane in combustioni sporche, come quelle di petrolio contenente zolfo".

Grazie al sistema di intelligenza artificiale applicato, è stato possibile non solo ricostruire l'andamento degli ultimi 150 anni inserendo la variante dell'assenza di inquinamento che cancella l'oscillazione, ma anche proiettarsi nel futuro guardando ai prossimi decenni. "È estremamente probabile che per tutto il secolo in corso non conosceremo la fase fredda dell'oscillazione", continua Pasini. "L'oscillazione resterà positiva, cioè calda. E la conseguenza più importante di questa evoluzione del fenomeno è l'intensificazione degli uragani che colpiscono le coste americane".

È un trend che si è già manifestato negli ultimi anni. Ad esempio nel 2004 per la prima volta un uragano, Catarina, si è spinto anomalmente a Sud devastando le coste del Brasile. E in tutto questo primo scorcio di secolo il bilancio degli uragani che si sono abbattuti sulle coste americane si è andato aggravando aggiungendo record a record.

"Il cambiamento dell'Atlantic multidecadal oscillation porterà altre conseguenze", conclude Pasini. "Ci sarà una circolazione di aria meno umida sull'Amazzonia, ma la foresta ha dimensioni tali che, se non si continuerà ad aggredirla con tagli e incendi, dovrebbe resistere. Ci saranno anche mutazioni del monsone africano e un aumento delle piogge nell'Europa nordoccidentale. Ma l'effetto principale riguarda senza dubbio l'intensificarsi degli uragani nell'Atlantico. Il riscaldamento delle acque farà aumentare l'evaporazione e dunque l'energia in gioco".