di Luca Bianco

Very lucky. Il 'ragazzo' è molto fortunato. Rishi Sunak diventerà prime minister di Sua Maestà senza passare da alcuna contesa elettorale: né da un'elezione politica, né dalle primarie, che l'ultima volta ha perso. Destino vuole che il primo premier non bianco, non anglicano e al tempo stesso più ricco di sempre del Regno Unito sia anche il primo a giurare nelle mani di re Carlo III. È finita l'era dell'ultima sovrana 'imperiale', Elisabetta, proprio ora che a Downing Street arriva un discendente di quell'Impero. Millennial ma miliardario. Fieramente britannico e anti-immigrazionista ma figlio di indiani di confessione indù. Come lui, del resto. Prima volta per un premier britannico. Oggi, o al più tardi domani, si insedierà al numero 10. Prendendo il posto della 'suicida' Liz Truss. Il curriculum da banchiere d'affari – anche noto come l'Uomo di Davos – ci garantisce che Sunak premier sarà molto più avveduto sulle tasse. E la sterlina, infatti, già rifiata. Sembra l'uomo giusto al posto giusto per tenere a bada i mercati: "Ho amici nelle classi agiate, persino tra gli aristocratici. Ne ho anche tra la working class... Anzi no, lì no" si lasciava sfuggire, in un'intervista. In fin dei conti, per diventare premier, Sunak se ne può fregare del voto operaio. Ma nel 2024, alle prossime elezioni, con i laburisti trenta punti avanti nei sondaggi, chissà. Ecco su cosa punterà Boris, per tornare alla testa dei Tory e del Regno: "Il ragazzo è 'fortunato', ma non è popolare come me".

Oggi è il grande giorno. Sunak ha superato le nomination necessarie (all'ora di pranzo, ne ha raggiunte ufficialmente 179) per candidarsi alla guida del partito ed è l'unico a essere sopra i 100 benches, la quota minima per poter correre, secondo le regole del Comitato 1922, il collegio di garanzia dei parlamentari Tory. L'ultima avversaria rimasta in campo, Penny Mordaunt, in corsa anche quest'estate, non va oltre le 30 e ha già annunciato il ritiro. Oggi Sunak, quarantadue anni, sarà incoronato leader del partito e contemporaneamente primo ministro. Funziona così in Gran Bretagna: i conservativeshanno vinto le ultime elezioni generali, quelle del 2019, e godono della maggioranza a Westminster. Chi li guida è automaticamente primo ministro. Fino a quando ci sono i numeri, si va avanti, anche a costo di cambiare più volte l'head of cabinet.

Manca solo l'ufficialità, ma già lo possiamo dire: questa sarà la prima volta che un non bianco prende le redini del Regno. La prima volta per un premier di origine indiana. La prima volta per un figlio di immigrati e, soprattutto, la prima volta per un devoto alla religione induista, cioè di confessione differente da quella anglicana. Per ritrovare un leader britannico non anglicano, bisogna risalire a prima della Glorious Revolution del 1689. Alla guerra civile, quando il paese fu guidato dal puritano calvinista – anti-anglicano e anti-monarchico – Oliver Cromwell. Torniamo nella modernità, però. Sunak è un leader destinato ad abbattere diversi soffitti di cristallo della politica britannica ed europea, dato che di fatto è anche il primo ministro europeo di religione indù. È il segnale di un Regno che esce definitivamente dal Novecento, in un 2022 che, complice la morte della figlia dell'ultimo Imperatore d'India, rappresenta il maggior momento di cambiamento per ciò che resta dell'Impero dai tempi della decolonizzazione. Brexit a parte, ovviamente.

Rishi sarà anche il premier britannico più ricco di sempre. 900 milioni di sterline dichiarati di patrimonio. Di economia ne capisce. Ex Chancellor of the Exchequer, ex manager a Goldman Sachs, banca d'affari che più d'affari non si può, tra i simboli dell'alta finanza nordatlantica simboleggiata dalla coppia City e Wall Street. L'uomo giusto al momento giusto, fa notare qualche giornale d'oltremanica. Sembra perfetto per ridare stabilità sul fronte mercati e banca centrale, dopo il suicidio volontario di Truss. Scuola superiore al raffinato Winchester College, la laurea in filosofia, politica ed economia a Oxford, bachelor per eccellenza di chi vuole diventare classe dirigente, e pure un master a Stanford, negli Stati Uniti. Poi la rampante esperienza nella City: quattro anni in Goldman Sachs, dicevamo, ma anche negli hedge funds – i fondi speculativi, la 'finanza aggressiva' – e infine l'approdo nella società di investimento del suocero, la Catamaran Ventures, di cui è stato a lungo direttore operativo. 

Appena Johnson, ieri, ha annunciato il forfait, piazzando Sunak automaticamente in pole per il suo arrivo al numero 10, la sterlina è subito risalita. E i famigerati titoli di Stato Gilts, che tante grane hanno regalato in questo mese e mezzo a Truss e all'ex cancelliere Kwarteng, sono tornati a calare. D'altronde, da cancelliere, Sunak fece esplicitamente suo il motto di Mario Draghi whatever it takes, facendo piovere sull'economia britannica aiuti e investimenti per un totale di 400 miliardi di pounds. Lo chiamavano il cancelliere "socialista", anche se tutti sanno che di socialista non ha nulla.

Ma fermiamo subito il rischio di confonderlo per un draghiano. Prima di tutto perché Sunak, con l'Unione Europea, ha poco a che fare. È un brexiter di ferro e della prima ora. La sua priorità è riportare la calma sui mercati, stabilizzare la sterlina e mettere al sicuro i conti pubblici. Passare indenne, lui e il paese, l'inverno. Ma guai a pensare che Sunak non voglia riprendere in mano l'antico progetto Tory della Global Britain, ancora tutto da dispiegare. "È per questo che ci siamo liberati delle catene europee", mantra comune a tutti gli inquilini che si sono succeduti a Downing Street da quel fatidico maggio di sei anni fa. E sarà anche il suo. Sunak è contrario all'immigrazione irregolare. Nonostante le sue origini non britanniche, ma su questo c'è una grande narrazione Tory che spesso, in Europa continentale e in Italia soprattutto, si fa fatica a capire. Rishi è discendente di ex sudditi imperiali britannici. Come lo è Priti Patel, potente ministra dell'Interno di Boris, come lo è Sadiq Khan, sindaco di Londra, il primo musulmano della storia cittadina, figlio di emigrati pakistani. Come lo sono il cancelliere di Truss Kwasi Kwarteng (genitori ghanesi), il ministro della Salute Sajid Javid (pakistani) e il 'ministro dei Rapporti con il Parlamento' Nadhim Zahawi (curdi-iracheni). 

In tutti questi casi c'è qualcosa che si fa fatica a capire per paesi che l'imperialismo d'Ottocento lo hanno visto solo sui libri di storia: i conservatori, come in parte anche i laburisti, sono entrambi eredi di una cultura imperiale. Non conta l'etnia né la religione. I nativi Brits, come gli indiani, i pakistani, i canadesi, i sudafricani e via dicendo. Sono tutti figli della stessa tradizione. Nulla a che vedere con l'immigrazione 'irregolare' proveniente da Africa, Medio Oriente ed Europa orientale. Sunak e i suoi genitori sono legittimi 'figli dell'Impero', è il ragionamento tradizionale Tory. Lo stesso Boris Johnson, già cittadino americano nato a New York, da parte di madre, è discendente diretto, da parte di padre, del ministro degli Interni dell'Impero Ottomano, e per un quarto è francese. Stesso discorso non vale per l'idraulico polacco che vive e lavora a Manchester, o il camionista rumeno che fa tutti i giorni su e giù sull'A1, arteria stradale che collega Edimburgo alla capitale. Entrambi sono entrati, legalmente, in UK perché cittadini europei. Ma da quando c'è stata la Brexit, per i Tory, non hanno più diritto a restare legalmente nel paese. 

900 milioni di patrimonio personale, dicevamo. Rishi è praticamente miliardario perché da studente in business administration all'americana Stanford – altro gioiellino nel suo curriculum perfetto – conobbe e si innamorò di quella che diventerà sua moglie. Akshata Murty, figlia di Narayana, miliardario indiano ideatore del colosso digitale Infosys. E se fino a qualche mese fa per Rishi, essersi coniugato con Akshata, aveva significato solo rose e fiori (oltre che sterline), ecco, da aprile non è più così. Elusione fiscale, è la scoperta fatta dal The Independent sulla dichiarazione dei redditi di Miss Sunak. Approfittando del fatto di dichiararsi non-dom, cioè non domiciliata nel Regno Unito, l'ereditiera non ha mai pagato un penny di tasse. Non è evasione fiscale, certo. Ma più o meno siamo lì. Non proprio un gran biglietto da visita per chi le tasse le deve maneggiare. Su questa roba ci è caduto il governo uscente. Per non parlare delle polemiche, anche quelle esplose quest'anno, dopo l'invasione dell'Ucraina, che l'azienda di famiglia della moglie, Infosys, continui a fare affari in Russia come se nulla fosse e che dunque lo stesso patrimonio di Rishi goda anche di entrate provenienti da Mosca. 

Pure lui, comunque, quando si tratta di polemiche, non scherza: "Ho amici aristocratici" raccontava in un'intervista. "Alcuni nelle classi alte ma anche tra le famiglie operaie. Anzi no... quelle no". Insomma, Rishi non sarà mai ricordato come un working class hero. E questo già basta per inimicarsi una certa Gran Bretagna 'profonda', lì dove il voto Tory la fa da padrone ormai da tempo. Maschi bianchi e lavoratori. Birra al pub e Fish & Chips. Gente che va fuori di testa per BoJo ma detesta quei 'giovanotti' sorridenti e vestiti d'alta sartoria come Sunak. Per fortuna per lui, Rishi non dovrà sottoporsi alle primarie dei 180 mila iscritti conservatori online. Pochi avevano dubbi che avrebbe stravinto BoJo, ancora popolare tra i militanti, molto meno tra gli MPs, dove infatti non ha raggiunto la fatidica quota 100 per potersi candidare contro il suo ex Cancelliere dello Scacchiere. C'è già chi, in questi giorni, aveva annunciato che in caso di Boris back, avrebbe stracciato all'istante la tessera di partito.

Ora il nuovo leader promette: "Con me avremo un governo di integrità, professionalità e responsabilità". Un modo per sottolineare che il suo non sarà un governo di bugie, dilettantismo e festini come quelli dei suoi due predecessori. Anche se alle feste, a Downing Street, in pieno lockdown, c'era pure lui. Multato per la violazione ripetuta delle norme anti-pandemia, si era dimesso a luglio, innescando la crisi che ha condotto Johnson a dimettersi da premier. Nonostante fosse dato per favorito, a inizio corsa per le primarie, lo scorso 3 settembre Sunak è stato sconfitto a sorpresa da Truss, 80 mila voti a 60 mila, anche e soprattutto a causa delle polemiche sulla moglie. Se c'è una cosa che non farà, sarà seguire le orme di Truss sulle tasse. E non sono dichiarazioni con il senno di poi. Già durante la campagna per le primarie estive, Sunak aveva chiuso da subito a certe soluzioni da vecchia scuola Tory: "Abbassare le tasse ora è un grave azzardo: gli interessi saliranno alle stelle e le famiglie ne pagheranno le conseguenze insieme a un'inflazione già alta". Che esattamente quello che poi ha fatto Liz Truss al governo, affondando dopo soli 44 giorni di navigazione.

Comunque: i fautori della Singapore-on-Thames – Londra come paradiso fiscale europeo e motore di investimenti e finanza nel Vecchio Continente – non molleranno la presa. Alla fine, però, la battaglia interna ai Tory sembra uno scontro che riguarda solo una bolla. La bolla di Westminster, lato conservatore. I sondaggi, già da mesi, descrivono una Gran Bretagna decisamente diversa da quella che tre anni fa portò Boris Johnson, a suon di acclamazione, alla guida della quinta economia mondiale. L'ultima media, pubblicata da Politico, dice che i Labour volano oltre quota 50%. Solo il 21% degli elettori opterebbe invece per i Tory. E infatti, senza neanche crederci troppo, il leader laburista Keir Starmer chiede elezioni anticipate. Il labour sa bene che, si voti oggi o domani, è veramente difficile perdere le prossime elezioni. Resta però da capire come i Tory arriveranno al 2024. Uniti, sotto la guida del millenial miliardario di origine indiana, oppure in piena guerra civile. Molto più probabile il secondo scenario: Boris Johnson, che gode del raro primato di non aver mai perso una competizione elettorale lungo tutta la sua carriera politica, ha già detto di avere le carte in regola non solo per riprendersi il partito entro due anni, ma anche di sbaragliare gli avversari laburisti non appena potrà. Chissà. L'unica certezza è che Sunak si insedierà a Downing Street già nelle prossime ore. È il quinto premier Tory in sei anni.