Elezioni in Brasile (Depositphotos)

di BOBO CRAXI

Non sono mancati i colpi bassi in questa campagna elettorale, d'altronde i due sfidanti Lula e Bolsonaro rappresentano due facce antitetiche della nazione brasiliana e della politica. Aver richiamato nell'agone politico per una campagna presidenziale il vecchio leone ferito, leader trentennale del movimento dei lavoratori, era necessario per un fronte democratico ampio che ha mal digerito e sopportato le cattive maniere mostrate da Jair Bolsonaro nei suoi anni di presidenza.

È stato ed è in atto innanzitutto uno scontro ideologico che negli esiti del primo turno elettorale ha sancito anche una divisione territoriale: il Nord impoverito ha plebiscitato Lula mentre nel Sud del paese produttivo e più benestante ha mantenuto le sue posizioni Bolsonaro dato per sconfitto sin dal primo turno. Nel dettaglio si è registrato persino il rovescio paradossale degli umori elettorali nelle aree più benestanti della Città simbolo della grande nazione verde-oro, a Rio nei quartieri alti il Partito di Lula è primo mentre nelle zone più disastrate e malsane, spesso occupate dalla criminalità Bolsonaro ha fatto il pieno.

D'altronde la Sinistra Brasiliana è unita oggi innanzitutto per respingere un nuovo assalto di una concezione di governo e di leadership lontana dagli standard a cui dovrebbe aspirare un paese la cui crescita è stata arrestata dal Covid, che rivede lo spettro dell'inflazione e che mantiene delle diseguaglianze insopportabili ma che tuttavia ha compiuto poderosi passi in avanti e detiene il suo straordinario potenziale espansivo sul piano economico.

Lula cercò nei suoi anni di affrancarsi da una visione conservatrice e tradizionale della sinistra per ridefinire la sua politica che lui stesso ha declinato come una versione brasiliana di "socialismo liberale". Un cedimento verso gruppi industriali pubblici e privati e verso il mercato rimproveratogli dalle aree più radicali del PT che ha generato una commistione nella gestione degli affari che gli ha causato un processo e un'ingiusta detenzione.

Lula non solo ha saputo risorgere ma ha mantenuto fermi i suoi impegni verso una tendenza possibile di governo della complessa società brasiliana con un piglio di sinistra compassionevole e non assistenziale unita alla valorizzazione e alla difesa delle libertà economiche. Bolsonaro ci è sempre andato giù piatto in campagna elettorale e con tono sprezzante ha definito il suo sfidante come un "ladro" e un "ubriacone" con in prima fila gli evangelici a unirsi al coro delegittimando Lula come una specie di "anti-cristo".

Questa crociata dell'ultra-destra non è stato che il proseguimento di una lunga campagna ideologica che ha trovato il suo culmine nella lotta alla rovescio condotta durante la Pandemia. Un "laissez faire" che ha prodotto 690.000 morti; per questo Lula ha avuto gioco-forza nel replicare agli insulti chiamandolo "assassino" e "caipao do interior" praticamente un bifolco. Questa notte si replica il teatro delle Accuse e degli insulti in un duello televisivo con regole di ingaggio assai rigide; uno spettacolo nazionale attraverso il quale si intenderà catturare gli indecisi. Lula ha incassato il sostegno di settori moderati della politica, il suo vecchio avversario Alckmin è il suo compagno del ticket presidenziale, Fernando Enrique Cardoso, il liberale di sinistra avversato dal PT ha detto che per difendere la democrazia brasiliana. È necessario schierarsi con il vecchio sindacalista. Bolsonaro ha dalla sua una notevole capacità dialettica, il soffio nazionalista retaggio della lunga stagione della dittatura militare e anche qualche buon risultato economico, anche se di programmi e numeri questa campagna ne ha parlato poco. Da un certo punto di vista anche le elezioni brasiliane certificano una volta di più la difficoltà di governare società complesse adottando dottrine economiche e sociali partorite nel '900.

Tuttavia mai come in questo caso l'alternativa è fra una scelta democratica o il caos. Lula appare favorito nei sondaggi, ma il risultato è aperto.