di Riccardo Nencini

Enrico Letta ha dato avvio alla fase costituente del nuovo Pd: Bussola dei valori, consultazione larga, Direzione del Pd il 12 marzo, primarie per scegliere il nuovo segretario. Quanto accade nel Pd sta a cuore all'intera sinistra, per questo esprimo un giudizio. Eccolo. Il Pd nasce quindici anni fa mettendo assieme cultura cattolica di sinistra e parte del mondo ex comunista. L'Italia politica era bipolare e Silvio Berlusconi si avviava a stravincere le elezioni del 2008, la crisi bancaria mondiale non c'era, non c'erano state né pandemia né guerra in Ucraina, il populismo non era ancora esploso. Insomma, un altro mondo. La società italiana di oggi è più fragile, si è impoverita, ha paura del futuro, tende all'uomo (alla donna) solo/a al comando, l'individualismo è sovrano, la destra-destra è al governo, si è acuita la sfida tra Cina e Stati Uniti. C'è dell'altro. Nonostante il voto grillino si sia dimezzato, la struttura tripolare del sistema politico è rimasta in vita con la novità che la sinistra è la più debole di sempre dal 1946, in Italia e in Europa.

Il problema centrale, dunque, non è tanto il solo Pd, è quale sinistra costruire per interpretare i nuovi bisogni e, di seguito, quali alleanze mettere in campo per contrastare, dalle regioni al governo del Paese, la coalizione di destra.

Siccome ogni nazione ha la sua storia e le società non sono tutte uguali, bisogna fare attenzione a importare modelli stranieri. Rievocare tout court la socialdemocrazia o immaginare un secondo Pd con gli stessi pilastri delle origini temo non sia sufficiente. E però una bussola ci sarebbe, basterebbe guardare alle grandi famiglie politiche europee, anzi alla famiglia più rappresentativa dei principi di uguaglianza e di libertà. Del resto, non si può usare in Europa l'aggettivo socialista e bandirlo in Italia.

La strada da battere è quella del socialismo umanitario, il modello proprio quello che si è affermato nel corso del Novecento soprattutto a Milano e, con varianti, nell'Italia centrale: alleanza riformista tra mondo del lavoro e borghesia, attenzione agli ultimi, riconoscimento del valore dell'impresa, buongoverno municipale, confronto con il cattolicesimo democratico. È il socialismo liberale di Rosselli e Salvemini mescolato al riformismo di Turati. Giratela come vi pare: è il socialismo a questa latitudine.

Questa scelta ha delle conseguenze: spiccato europeismo, difesa delle libertà civili e dei diritti sociali, alleanza tra merito e bisogno (con ripartizione più equa della torta della ricchezza a vantaggio di chi ha di meno), cura particolare per il mondo della scuola e della conoscenza e naturalmente politiche per la protezione dell'ambiente in cui viviamo. Aggiungo: un'idea di patria aperta, 'risorgimentale', che combatta i nazionalismi con una narrazione dell'identità nazionale e territoriale alternativa a quella leghista e meloniana.

In concreto, sui punti più caldi: lotta senza quartiere al caro bollette e alle speculazioni finanziarie, salario minimo e revisione (revisione, non cancellazione) del reddito di cittadinanza perché venga usufruito solo da chi è in stato di vera necessità, fine dei 'bonus' per tutti e sostegno solo alle famiglie fragili, concreti aiuti all'Ukraina con un'Europa promotrice anche in forma autonoma di iniziative diplomatiche per il cessate il fuoco. Si tratta di una bussola che non può essere condivisa con il partito di Conte, filo occidentale a corrente alternata, critico della democrazia parlamentare, antipolitico per eccellenza, il partito dei banchi a rotelle e della cancellazione per legge della povertà.
Meglio affrontare il deserto con questa bussola in tasca che orientarsi confidando nelle costellazioni.