di Franco Esposito

La Guardia di Finanza è arrivata nella nuova sede di Visibilia Edizioni. La società che fa capo a Daniela Santanchè, all'epoca deputata di Forza Italia, oggi ministro del Turismo nel governo di Giorgia Meloni. La visita dei finanziaeri è tuttora circondata da grande segretezza. Talmente grande da farla apparire come un mistero vero e proprio. I vecchi uffici di Visibilia sono stati dati in affitto, restano alcuni comò zebrati, aquile e ciotole per cani. L'inventario è presto fatto: statue e teli sono alloggiati in cantina.

Condannata a pagare 30mila euro "per aver diffamato Ucoil, la Santanchè risulta pignorata. Al giudice chiese uno sconto "per indigenza", ma non ha rispettato le rate. La Corte d'Appello di Milano le ha indirizzato il verbale di pignoramento immobiliare, recapitato il 9 giugno 2016, alle nove del mattino. All'indirizzo Daniela Gernero Santanchè, via Maffei 1, Milano.

La Santanchè in questi giorni è a rischio di "conflitto d'interessi" sulle concessioni balenari, con una società quotata, Visibilia Editori. Sulla quale pende una richiesta di liquidazione giudiziale per ipotesi di "false comunicazioni sociali". In base ai documenti in possesso della Consob, la Santanchè teneva i dipendenti in cassa Covid a zero ore, facendoli lavorare lo stesso.

All'epoca deputata con delega alle Pari opportunità, ruolo che esercita con particolare furore dialettico, conta tra i suoi nemici la Comunità islamica italiana. In Tv la accusa di essere "un'organizzazione integralista finanziata da terroristi". L'accusa le costa una condanna del Tribunale di Milano, datata 23 aprile 2015: dovrà risarcire l'Ucoil con 37mila euro. Trentamila a titolo di danno, il resto per il pagamento di spese legali.

La sua reazione di donna che si definisce tutta di un pezzo? "Mi pignorino anche lo stipendio da parlamentare, io non pagherò mai". L'ufficiale giudiziario e il legale di un creditore, il 9 giugno 2016, sono davanti al villino di quattro piani, fine 800, a due passi da Corso Vercelli. Sono lì per pignorare i beni di Daniela Santanchè, introdotti in casa dal domestico filippino che ha aperto la porta.

Il domestico dimostra di averla imparata alla grande la lezione. Ma l'ufficiale giudiziario non abbocca, in forza di un mandato del giudice esecutore per effettuare l'inventario dei "beni da iscrivere a ruolo per le somme che la proprietaria di casa, Daniela Santanchè, non versa al creditore".

Villa Santanchè è una reggia di 980 metri quadrati, dodici vani e un giardino privato. La proprietaria l'ha comprata nel 2004, a prezzo d favore, dagli eredi di Giuseppe Poggi Longostrevi. Propio lui, il "re Mida delle cliniche milanesi. Poggi fu arrestato nel '97: pagava i medici milanesi affinché prescrivessero analisi nelle sue clniche. Si è ammazzato quattro anni prima che si conoscesse l'esito del processo.

I finanzieri inventariano tutto, dalle valigie Luis Vuitton all'affettatrice. Si aggirano all'interno della villa. Scattano ottantadue fotografie. Non fanno minimamente caso al De Chririco appeso alla parete del salotto, sopra il camino. E neppure al water color oro e ai comò nei con i pomelli argento. Al piano -1, all'origine uno scantinato, i finanzieri trovano una sauna e una piscina rivestita in madreperla. Accanto il letto e il cucinotto. La dimora dei domestici di Villa Santanchè. Forte è il dubbio circa l'abitabilità del locale, data l'altezza minima e la massima, decisamente insufficienti. Il seminterrato risulta accatastato come zona uffici/locali tecnici. Pari pari il piano rialzato, che consente di frazionare l'immobile e "ridurre la rendita catastale".

Un mese dopo la visita dell'ufficiale giudiziario in via Soresina, i legali di Daniela Santanchè chiedono di "convertire il pignoramento e rateizzare la somma dovuta". Si guardano però bene dal riferire che lei aveva dichiarato ai giornali che mai si sarebbe piegata "per pagare i danni". L'istanza del 4 luglio 2016 presenta questa situazione: "la debitrice versa in gravi condizioni economiche, la sua morosità non è dettata da egoistiche scelte votate a soddisfare interessi personali, ma dalla situazione di indisponibilità economica in cui si trova. E che non le consente di "soddisfare interamente il debito".

Sulla base di queste considerazioni, l'ufficiale giudiziario e il legale rappresentante del creditore ritengono di accordare "il pagamento in trentasei rate mensili, stanti le gravi difficoltà in cui versa la richiedente". Va da sé che la vera povertà è tutta un'altra cosa. La Santanchè, infatti, ha uno stipendio parlamentare, una società quotata ed è socia del famoso "Twiga" a Forte dei Marmi. Il locale macina quattro milioni di euro l'anno, a fronte dei 20mila che gli costa la concessione.

Personalissima interprete dell'espressione "indigente" abbinata a Daniela Santanchè. Il giudice Monica Bruzzone ne asseconda la richiesta. Autorizzala conversione del compendio pignorato in 20.416 euro e contestualmente ordina all'onorevole Santanchè di "versare la differenza al debitore, pari a 14.146 euro in diciotto rate mensili da 786 euro, da pagare entro il quindici di ogni mese".

Passa un anno, al 22 settembre 2017 Santanchè deve ancora a Unicoil 2.356,52 euro. Ricorre ad un'ulteriore istanza con cui chiede al giudice di "sospendere i versamenti mensili della rimanenza". Il giudice non ci sta e le intima di provvedere a mezzo di un libretto di deposito vincolato al suo ordine. ùSantanchè, titolare di un giuramento "non pagherò mai", paga fino all'ultimo centesimo di euro. Ma non lo dice a nessuno, altrimenti sai le pernacchie.