Giorgia Meloni (foto depositphotos)

di Carlotta Scozzari

Mentre sale la tensione tra l'Italia e la Francia nella gestione delle politiche sui migranti, non si può ignorare come passino proprio da Parigi le partite finanziarie ed economiche del momento. Dalla rete unica di Tim alla cessione dell'ex Alitalia che oggi si chiama Ita, i "cugini" francesi ricoprono ruoli chiave nei principali dossier con cui il governo Meloni si sta confrontando. Si tratterà quindi di capire, anche alla luce delle ultime frizioni con l'Eliseo, quale direzione deciderà di prendere il nuovo esecutivo di centrodestra, tenendo conto che soprattutto Fratelli d'Italia e Lega hanno sempre rivendicato un forte ruolo dello Stato nell'economia e nella finanza, in alcuni casi corredato da un certo scetticismo, se non da una vera e propria prevenzione, nei confronti della Francia.

La spinta statalista del nuovo governo è evidente da quello che sta accadendo in Tim. Qui il piano di rete unica, benedetto dall'ex esecutivo di Mario Draghi, prevede il passaggio dell'infrastruttura telefonica dalla società ex monopolista a Open Fiber. L'operazione, nell'ambito della quale non è ancora stato raggiunto un accordo sul prezzo alla luce dell'enorme distanza tra le parti, sembra incontrare un ostacolo nel cosiddetto "progetto Minerva" di Fratelli d'Italia.

Tale piano, ancora nei giorni scorsi, è stato rilanciato dal suo grande fautore, il sottosegretario all'Innovazione Alessio Butti, che lo ha definito "prioritario". Ora, il fatto è che il progetto Minerva smonta l'attuale piano di rete unica che prevede il passaggio dell'infrastruttura da Tim a Open Fiber. La volontà di Fdi è, infatti, quella di fare in modo che la rete resti in capo a Telecom e che l'infrastruttura, essendo ritenuta strategica, diventi pubblica. La strada più ovvia per raggiungere l'obiettivo è che la Cassa depositi e prestititi (Cdp) lanci un'offerta pubblica di acquisto (Opa) sulla stessa Tim, con tutte le difficoltà che una simile operazione incontrerebbe. Ecco perché Butti ha preannunciato un incontro con i rappresentanti di Cdp e con gli altri attori coinvolti nell'operazione. A partire dai francesi di Vivendi, primi azionisti di Tim con quasi il 24% del capitale, che proprio nei giorni scorsi si sono detti disponibili a incontrare Butti per affrontare il tema della rete. La stessa Giorgia Meloni, nel 2019, quando Vivendi ancora non si era convinta a cedere la rete di Tim (oggi ha cambiato idea ma come contropartita chiede che si paghino a Telecom oltre 30 miliardi), insisteva su quanto l'infrastruttura fosse strategica per l'Italia. Un elemento che giustificherebbe il ricorso al meccanismo di protezione del cosiddetto "golden power". Sta di fatto che oggi, qualsiasi cosa si voglia fare con la rete telefonica, dovrà bene o male passare al vaglio degli azionisti francesi di Vivendi.

Sebbene più defilati, i "cugini" transalpini ricoprivano un ruolo chiave anche nella trattativa del fondo Certares per l'acquisto della quota di maggioranza di Ita. Partner industriali dell'operazione sarebbero, infatti, dovuti essere Air France e Delta. Il condizionale è d'obbligo perché, scaduto nei giorni scorsi il termine per la trattativa in esclusiva con Certares, il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha riaperto il canale con l'altra cordata interessata alla ex Alitalia, ossia quella composta da Msc e Lufthansa. Al momento, tuttavia, la compagnia di proprietà del Tesoro resta senza compratori. E non è possibile escludere a priori che la Francia possa tornare in ballo.

Non va poi dimenticata la presenza di gruppi e azionisti transalpini nella banche italiane. A cominciare da Monte dei Paschi di Siena, l'istituto di credito controllato dal ministero dell'Economia con il 64,23% delle quote che ha di recente condotto in porto l'ennesima ricapitalizzazione, da 2,5 miliardi complessivi. Se, nell'ambito dell'operazione, lo Stato ha staccato un assegno da 1,6 miliardi, il gruppo di assicurazioni francese Axa ha fatto sapere di avere contribuito con 200 milioni, operazione che a distanza di anni dovrebbe averlo riportato tra i maggiori soci della banca senese. Di recente, la stessa Axa ha presentato un'offerta vincolante per la quota di maggioranza nella società di bancassicurazione del ramo Danni del gruppo milanese Banco Bpm. In attesa che l'istituto di credito scelga il suo partner entro la fine dell'anno, Axa dovrà vedersela con due concorrenti: l'italiana Generali e un altro grande gruppo d'Oltralpe, Crédit Agricole. E quest'ultimo è in questi mesi sotto ai riflettori finanziari per via del blitz in virtù del quale, la scorsa primavera, è entrato in possesso del 9,18% della stessa banca lombarda guidata da Giuseppe Castagna. È stato ipotizzato che lo abbia fatto anche per sbarrare la strada agli appetiti di Unicredit che, dopo avere scartato Mps, sembrava intenzionata a muovere sul Banco.

Proprio l'attivismo del Crédit Agricole sull'istituto milanese ha spinto Fdi a drizzare le antenne. Il gruppo francese, ha infatti messo in guardia Guido Crosetto con un tweet dello scorso agosto, "continua la sua scalata per diventare il secondo polo "italiano" e per controllare tutto il risparmio gestito. Dopo Pioneer toccherà ad Anima? Il tema non è di mercato, è politico" ha concluso l'ex presidente di Fdi nel frattempo diventato ministro della Difesa del governo Meloni. Ma siccome tra i suoi nuovi compiti, a dispetto del nome, non rientra la difesa dell'italianità delle banche italiane, è verosmile che sul dossier, a diverso titolo, scenda in campo qualche suo collega; magari Giorgetti.