di Lucia Lipari

Nella prima metà degli anni '90 "Mani pulite" scosse l'Italia. L'inchiesta giudiziaria più clamorosa di tutti i tempi portò alla luce un sistema di corruzione diffuso e la collusione tra politica e imprenditoria. Milano, capitale morale del Paese, fu colpita dal clamore mediatico di quello scandalo. Le procure conducevano indagini a ritmo serrato, mentre volavano gli stracci della prima Repubblica. Partiti storici come la Democrazia Cristiana e il Psi crollavano e si disegnavano i nuovi assetti delle alleanze in Parlamento. Il maxiprocesso di Palermo e le stragi di Capaci e via d'Amelio daranno poi ai fatti del '92 la responsabilità di scandire la storia criminale d'Italia, segnando tutte le crepe possibili.

I giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino indagavano i reati di mafia, i loro colleghi scoperchiavano da nord a sud le tangenti che caratterizzavano appalti di opere pubbliche e servizi. I tg davano la notizia che era iniziata la stagione di Tangentopoli e che esisteva una tassazione tripartita, che sottraeva un monopolio all'erario per affidarlo al duopolio della violenza: mafie e corrotti, perché allo Stato si versavano le tasse, alle mafie il pizzo e ai corrotti le tangenti, come sostiene il professor Isaia Sales.

Vicende drammatiche, ma che segnano la fine dell'impunità storica di cui avevano beneficiato fino ad allora le mafie e i corrotti. Le stragi del '92 e Mani pulite uniranno a doppio filo la lettura delle mafie e della corruzione, non sempre fenomeni scissi, non emergenze, ma elementi costitutivi di molte società. Perché la lotta alle mafie e alla corruzione è e deve essere transnazionale. La corruzione è l'incubatrice delle mafie, è un dato acquisito. La risoluzione del Parlamento Europeo del 25 ottobre 2011, ma ancor più la risoluzione del 23 ottobre 2013 mette in evidenza la stretta connessione tra criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio di danaro, considerando che la criminalità organizzata ha ampliato il proprio raggio d'azione su scala internazionale, oltre che dalla globalizzazione economica e dalle nuove tecnologie, stringendo alleanze con altri gruppi criminali di altri paesi. La corruzione entra a pieno titolo nel metodo e nell'essenza dell'agire mafioso. Il mafioso non spara subito, prima compra.

Nell'edizione 2021 dell'Indice di Percezione della Corruzione (CPI), realizzato da Transparency International, l'Italia guadagna 3 punti rispetto all'anno precedente, che le consentono di compiere un balzo in avanti di 10 posizioni nella classifica dei 180 Paesi presi in esame. Il CPI2021 posiziona quindi l'Italia al 42esimo posto, con un punteggio di 56. A livello globale, Danimarca, Nuova Zelanda e Finlandia rimangono al vertice della classifica con 88 punti, mentre in fondo si collocano Siria, Somalia e Sud Sudan, rispettivamente con 13 e 11 punti.

Si legge dall'indagine di Eurobarometro 2022, che l'89% degli intervistati e il 91% delle aziende considerano diffusa la corruzione in Italia, il 32% dichiara di subirne personalmente gli effetti nel quotidiano e il 41% la ritiene un pericolo nel mondo degli affari. Solo il 39% ha fiducia nell'efficacia dei procedimenti penali, come strumento di dissuasione dalla corruzione.

L'obiettivo della trasparenza resta dunque imprescindibile per l'Italia, soprattutto in una fase importante di realizzazione dei progetti del Pnrr. Il rischio che la torta dei fondi sia ricca è evidente, così come che sia complessa la sfida per le stazioni appaltanti per limitare la corruzione e le infiltrazioni mafiose, ma non impraticabile.

La prevenzione della corruzione va coniugata con l'efficienza della pubblica amministrazione e il contrasto all'affarismo e alle mafie, se si vuole sperare in una crescita duratura e collettiva ed in una reale ripartenza.

A dieci anni dalla Legge anticorruzione, è più che mai importante rifarsi ai patti d'integrità, quali strumenti di prevenzione e monitoraggio nell'ambito degli appalti pubblici, alle misure sul diritto generalizzato di accesso agli atti, alla disciplina di tutela nei confronti di chi denuncia (whistleblower), all'implementazione di luoghi deputati all'educazione ed all'informazione su questi temi.

Il cambiamento non può operare solo su un piano repressivo, derivare da uno stringente impianto normativo o essere delegato alla politica, tanto criticata quanto attesa, ma deve chiamare in causa ciascun cittadino ed il suo rapporto con l'etica pubblica, per diventare comunità monitoranti e custodi della cosa pubblica.