Raffaele Imperiale

 

 

 L'OSSERVATORIO ITALIANO

di Anonimo Napoletano

 

 

Si sta sgretolando come un castello di sabbia la più grande rete di narcotraffico in Europa, quella del cosiddetto “boss dei Van Gogh”, il napoletano Raffaele Imperiale. E il merito è soprattutto della tecnologia che ha permesso agli investigatori olandesi ed italiani di decriptare una valanga di chat considerate dai narcos segrete e blindate. Così la scorsa settimana sono scattati altri 28 arresti, in pratica tutta la gerarchia della rete messa in piedi da “Lelluccio Ferrarelle”, così soprannominato perché in gioventù faceva il rivenditore di bibite a Castellammare di Stabia. Ma di strada ne ha fatta, Raffaele Imperiale, tanta e non sempre “pulita”. Tanto da diventare il più grande broker di droga d'Italia, con latitanza dorata negli sfarzosi hotel di Dubai, e da nascondere una tela di Van Gogh che poi fece volontariamente ritrovare alle forze dell'ordine. Sfarzo e lusso finiti già da tempo, quando gli Emirati Arabi Uniti hanno inaugurato una nuova politica diplomatica e hanno concesso all'Italia di riportare in patria in manette il narcos. Da allora per Imperiale è stato un susseguirsi di sconfitte. Già uno dei suoi vice, Raffaele Mauriello, era stato preso, anche lui a Dubai, ed estradato in Italia. Qualche giorno fa è toccato all'altro suo braccio destro, Bruno Carbone, catturato in circostanze ancora tutte da chiarire ed estradato attraverso la Turchia (sul giallo del suo arresto vedi altro articolo in basso). Il giorno dopo l'arrivo di Carbone a Fiumicino, la Direzione antimafia ha fatto scattare la retata nei confronti di 28 fedelissimi di Imperiale, due dei quali sono però riusciti a sfuggire all'arresto. Anche in questo caso, come anticipato, è stato decisivo decriptare le chat che Imperiale teneva con i suoi affiliati sparsi in giro per il mondo attraverso due piattaforme che assicuravano l'anonimato, Encro-Chat e Sky-Ecc, ma che il lavoro incrociato della polizia olandese e italiana è riuscito a decodificare.

Bruno Carbone aveva il delicato incarico di gestire la catena logistica dell’importazione dello stupefacente in Italia e dei depositi di stoccaggio in Olanda nonché il controllo sulla tenuta della contabilità. Marco Liguori e Fortunato Murolo, di Secondigliano, erano secondo la Procura antimafia esponenti di vertice del clan Amato-Pagano e i principali destinatari su Napoli della sostanza stupefacente, che ricevevano a scadenze programmate e del cui trasporto si occupava Antonio De Dominicis. Importante, tra gli arrestati, anche il profilo di Corrado Genovese, esperto di banche e finanze che si occupava di trasferire denaro contante (sia attraverso canali bancari che fiduciari a mano) nelle nazioni in cui la holding Imperiale aveva bisogno di liquidità per pagare la cocaina, costituire società ad hoc e aprire conti corrente, investire e acquistare beni per riciclare i soldi sporchi. 

Una novità emersa nell’inchiesta riguarda il narcotraffico con l’Australia, ritenuta finora troppo lontana per il campo d'azione del broker Imperiale. Per i rapporti oltreoceano c'era invece una specifica figura, secondo gli inquirenti: Charles David Mirone. Era lui l’autore di alcune spedizioni all’estero, una in Brasile e l’altra appunto in Australia. C’era poi un gruppo composto da calabresi, che però operava tra il centro Italia e la Puglia: in particolare a Roma, Andria e Pescara. Il capo era Giuseppe Mammoliti e ne facevano parte con ruoli di primo piano Carmine Amedeo Cappelletti, Massimo Ballone e Giovanni Gentile. 

La gran parte della droga veniva acquistata in Colombia, grazie alle relazioni tra Imperiale e alcune formazioni paramilitari, tra cui il Clan del Golfo. La droga veniva nascosta all'interno di container e raggiungeva via mare i principali scali marittimi commerciali europei grazie ad accordi, alleanze e joint ventures intrecciate, a partire da gennaio 2017, con narcotrafficanti sudamericani ed europei di primissimo livello. Criminali colombiani, ma anche irlandesi, olandesi e marocchini, componenti di gruppi criminali che controllavano il traffico di cocaina dal Sudamerica verso i i porti di Rotterdam e Anversa. Ma c'erano anche porti italiani. Proprio nei mesi scorsi è stata sgominata la rete di Imperiale che permetteva l'arrivo della droga nel porto calabrese di Gioia Tauro. Giunto sulla terraferma, lo stupefacente veniva prelevato e trasportato su gomma da camionisti compiacenti, per essere occultato all'interno di depositi, covi e nascondigli situati in Campania, Calabria, Emilia-Romagna e Lazio. 

I soldi guadagnati con i traffici illeciti venivano poi in gran parte spostati all'estero attraverso sistemi di movimentazione di denaro alternativi ai tradizionali canali bancari, come ad esempio il sistema islamico denominato “Hawala”. In parte invece veniva investito nell'acquisto di oro, partite in lingotti di metallo prezioso dal valore di diversi milioni di euro.