di SILVANA MANGIONE

Chiudiamo rapidamente il quadro storico delle Conferenze per l'informazione italiana all'estero, prima di passare alla situazione attuale. A Milano, nel 1996, il documento finale ribadiva: "L'esigenza di attuare fra le due Italie una seria strategia della conoscenza reciproca" e riaffermava che: "La ricca rete di testate per le comunità costituisce un tessuto prezioso". Per questo impegnava "Governo e Parlamento alla definizione di una politica organica dell'informazione estera dell'Italia e all'adozione degli strumenti legislativi e finanziari necessari a ricondurre a unità gli interventi richiesti, come già fanno Francia, Germania, Giappone e tutti quei Paesi che hanno compreso l'esigenza irrimediabile della globalizzazione dell'informazione nazionale come mezzo per rafforzare la propria presenza, anche economica e commerciale". Questo dicevamo oltre un quarto di secolo fa ed è valido ancora adesso, ma non è stato ancora compreso né realizzato, anzi, si sono ulteriormente complicati i criteri e i requisiti per i contributi. Nel 2000, il Convegno dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti e della Federazione Unitaria della Stampa Italiana all'Estero (FUSIE) insieme al CGIE, durante la Prima Conferenza Mondiale degli Italiani nel Mondo, affermava: "Una comunità senza informazione propria è una comunità zoppa, anzi muta°. E questo sembra essere il fine ultimo del parere aberrante dato dal Com.It.Es. ispanofono di Montevideo nei confronti di Gente d'Italia: cancellare un giornale scomodo, che non si inchina ai diktat dei potenti e ha la malaugurata abitudine di dire la verità, come la vede, e di dare spazio alle idee di tutti, affinché siano i lettori a decidere e a fare le proprie scelte. In quel Convegno di 22 anni fa, intitolato "Italiani nel mondo: una risorsa per l'informazione", i giornalisti delle testate all'estero dichiaravano: "I nostri giornali hanno bisogno innanzitutto di finanziamenti adeguati alle loro necessità reali e chiedono che le pratiche burocratiche per usufruirne siano snellite al fine di potervi accedere entro l'anno in cui viene presentata la richiesta" e non quasi due anni dopo, come invece succede, quando un qualsiasi ritardo o intoppo – vero o creato per silenziare le voci sgradite – mette in ginocchio chi è costretto ad autofinanziarsi in toto per sopravvivere, in attesa che il Dipartimento per l'editoria (DIE), presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, eroghi il contributo. Per questa ragione, sono scomparsi troppi giornali pubblicati da anni per informare il bacino dell'emigrazione. Il Convegno sollecitava anche: "Massima trasparenza nell'erogazione dei finanziamenti, affinché sia premiata la serietà professionale di ciascuno". E sosteneva il bilinguismo editoriale che, ovviamente, vogliamo tutti, perché l'informazione possa raggiungere anche coloro che non parlano l'italiano, ma in questo modo sono stimolati a impararlo. Nel 2018 è stata finalmente approvata la nuova legge. Una legge devastante, che cancella la Commissione Nazionale per l'Editoria e impone una nuova complicata modulistica per la presentazione delle richieste di contributo. Nell'aprile del 2020, a un incontro della Commissione Informazione del CGIE, che faceva seguito al Seminario CGIE del 2019, è intervenuta la Dottoressa Stefania Palamara del DIE precisando che era stata completata l'istruttoria sulle domande per il contributo relativo al  2018, che il piano di riparto era stato varato e i funzionari stavano "preparandosi" a predisporre i decreti di liquidazione dei contributi che sarebbero stati  erogati, situazione d'emergenza permettendo, prevedibilmente entro aprile. Vale a dire, almeno sedici mesi e più dopo la chiusura dell'anno contabile delle testate sopravvissute all'attesa. I problemi erano stati numerosi, ampiamente preventivati e derivati dal fatto che per la prima volta venivano applicate le modalità previste dalla nuova legge entrata in vigore, appunto, il 1° gennaio 2018. Questo ha determinato un esame lungo e farraginoso. Penalizzanti, ha confessato la DIE, sono state anche la superficialità e, talvolta, l'ignoranza della materia, palesate da alcuni, seppur non troppi, funzionari della rete diplomatico-consolare. Finita la procedura relativa al 2018, ci si preparava ad analizzare le domande di contributo per il 2019, alla cui modulistica, nel limite consentito dalla legge, erano stati apportati accorgimenti per renderne più chiara la compilazione. Questa triste esperienza ha evidenziato quanto fosse importante il ruolo di consulenza che rivestiva la Commissione Nazionale per l'Editoria, che affiancava il DIE nella verifica delle domande e della quale facevano parte due Consiglieri del CGIE in rappresentanza delle esigenze della stampa italiana all'estero. Se ne fece richiesta all'allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel secondo Governo Conte, Andrea Martella. Sono passati quasi due anni, si sono avvicendati altri due Governi, ma non si è fatto niente, come succede sempre quando le questioni riguardano la rete globale degli italiani, opportunamente rimossa dalla coscienza politica collettiva dell'Italia, concentrata sul proteggere il proprio ombelico. Se fosse ancora esistita, la Commissione Nazionale sull'Editoria avrebbe per esempio immediatamente determinato l'illegittimità del parere del Com.It.Es. di Montevideo, che viola precise indicazioni di legge ed è chiaramente ispirato e imposto dall'allora Presidente Aldo Lamorte, contro il quale, negli ultimi giorni, sono stati ufficialmente aperti due iter processuali in Uruguay e in Italia, per il palese reato commesso e documentato da lui stesso in un video durante le ultime consultazioni politiche. La Commissione non esiste più e non ha potuto intervenire. Toccava quindi all'autorità diplomatico-consolare contestare al Com.It.Es. il grave errore commesso ed emanare un proprio giudizio basato soltanto sui tre requisiti richiesti ai sensi di legge, ma l'Ambasciatore Iannuzzi, inspiegabilmente, ha preferito stilare a sua volta un giudizio negativo sulla linea editoriale di Gente d'Italia, convalidando in apparenza quanto scritto dal Com.It.Es. L'informazione che non si inchina a quanto preferito dalle autorità locali di turno è certamente fastidiosa, spesso addirittura imbarazzante, perché espleta la sua fondamentale funzione di Quarto Potere, dopo il Parlamento, il Governo e la Magistratura, dei cui comportamenti fa – o dovrebbe fare – attenta denuncia. Perciò i dittatori degli orticelli personali, come Lamorte, usano qualunque mezzo per ridurla al silenzio, imbavagliandola, e quelli dei grandi poteri lo fanno incarcerando o addirittura uccidendone i responsabili. E questo, nel mondo italiano, non deve succedere, perché lo vieta prima di tutto la nostra Costituzione per la quale la libertà di stampa è sacra e "non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure", il che rende illegale quanto scritto dal Com.It.Es. che doveva soltanto riguardare l'esistenza, il servizio alla comunità e la distribuzione del giornale, non la vergognosa e ingiustificata censura ai contenuti.