di Alfonso Ruffo

Due notizie rilasciate in rapida successione dovrebbero impensierire il Mezzogiorno e la sua classe dirigente. Dovrebbero impensierire un po' tutti, in verità, perché le implicazioni di queste notizie non possono che ricadere sulle persone le famiglie e le imprese che vivono e operano nel territorio. La prima è dell'Istat che certifica l'impoverimento delle regioni meridionali in termini di ricchezza e di popolazione. La seconda è dell'economista Gianfranco Viesti ingaggiato dalla Fondazione con il Sud di Carlo Borgomeo per verificare la capacità delle pubbliche amministrazioni nel rispondere alle sollecitazioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
L'Istituto nazionale di statistica si spinge a paventare un vero e proprio "collasso" della parte già debole del Paese che mai come in questi anni si sta sganciando da quella forte – e la Svimez non ha mai mancato di farlo notare – assecondando un movimento che è esattamente l'opposto di quello prefigurato. Bene, se a contrastare la deriva devono pensarci i miliardi dispensati dall'Europa perché finiscano in utili opere e riforme indispensabili il sospetto che la macchina amministrativa di comuni e regioni non sia all'altezza dei compiti si trasforma in certezza ogni giorno di più. A parte qualche sporadica presenza al centro, i soggetti a rischio sono tutti sotto Roma.
In pratica, il debilitato e fragile Mezzogiorno – dove si affollano i disoccupati, i giovani che non studiano e non lavorano, gli scolari che mal comprendono italiano e matematica – non sarà in grado di spendere (e bene) i soldi reclamati e ottenuti fino al 40 per cento della dotazione complessiva di quasi 200 miliardi con la quasi certezza che questi soldi possano essere affossati in cattive iniziative o impiegati per altro. Il ministro competente Raffaele Fitto, pugliese tra l'altro, sta conducendo una ricognizione sull'utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo e la coesione e si sta accorgendo che molti miliardi restano inutilizzati nonostante le buone intenzioni.
I tempi sono quelli che sono. E c'è sempre meno disponibilità a tollerare l'inefficienza. Così che non parrebbe più uno scandalo se una fetta anche cospicua della gran massa di denaro destinata al Mezzogiorno e non usata possa essere dirottata su altri obiettivi sensibili del governo come il contrasto all'esagerata bolletta energetica. Una misura che con tutta evidenza si rivolge all'intero Paese e in particolare dove l'energia viene maggiormente utilizzata come al Nord. La scarsa capacità di spesa delle amministrazioni meridionali diventerebbe così una leva interessante nelle mani di un governo alle prese col problema inedito e gigantesco del caro gas indotto dalla guerra.
Se questo è il problema che si presenta all'attenzione degli italiani e di chi li rappresenta a diversi livelli e con differenti gradi di responsabilità, non è chiara quale possa essere la soluzione. Certo, c'è l'intenzione e forse il tentativo di spronare la burocrazia ad abbandonare le pratiche dilatorie che la contraddistinguono ma se non ci sarà una rapida iniezione di forze nuove e capaci unita a un vero cambiamento delle regole e dei comportamenti difficilmente i desideri potranno diventare realtà. E continueremo a praticare l'arte della retorica con discorsi alati che s'infrangono sulla realtà delle cose ben definita e raccontata dagli osservatori più attenti.
Tutto questo mentre incombe sull'assetto nazionale il progetto nordista dell'autonomia differenziata. Un obiettivo di per sé non eversivo – è previsto dalla Costituzione – ma che in questo frangente e nelle condizioni date potrebbe provocare un risultato assai peggiorativo dei rapporti interni. Le ragioni politiche che stanno alla base di certe scelte contrastano con la volontà di costruire un Paese più forte e in grado di rispondere con successo alle sfide che esso stesso si è dato. Il puzzle non è di facile composizione. Le tessere da mettere insieme sono tante e molto spesso non combaciano. E per la prima volta il tempo non potrà più essere una variabile indipendente.