di Matteo Forciniti

C'erano gli hamburger del McDonald's offerti a tutti e anche alle guardie, la palestra, i cellulari, una cella per la dispensa gourmet, i coltelli e le visite non registrate. Lui si muoveva come voleva dando ordini a tutti, andava a bere il tè e a prendere il sole sul tetto del carcere da cui riucì misteriosamente a scappare la notte del 23 giugno del 2019 poco prima essere estradato in Italia.

Era questa la bella vita che riusciva a condurre il boss della 'ndrangheta Rocco Morabito nel carcere Central di Montevideo tra il 2017 e il 2019 la cui ricostruzione sta emergendo in questi giorni da un'inchiesta che dopo tre anni e mezzo non ha portato ancora a nulla di concreto. Il mafioso calabrese era stato arrestato nel settembre del 2017 dopo 13 anni di latitanza a Punta del Este e in Uruguay, come ci fa capire bene questa vicenda, godeva di una rete vastissima di complicità di cui poteva usufruire anche da dietro le sbarre.

 

In uno dei suoi diversi filoni, l'inchiesta delle autorità uruguaiane si è concentrata in particolar modo sulle numerose visite che il boss calabrese riceveva dal narcotrafficante messicano Gerardo González Valencia, integrante del cartello dei Los Cuinis anche lui in attesa dell'estradizione.

Come ha informato El País, la vita di Morabito in carcere è stata svelata il 15 dicembre dello scorso anno dal pubblico ministero Ricardo Lackner mentre interrogava Mario Layera, all'epoca dei fatti direttore nazionale della Polizia, sui frequenti e costosissimi trasferimenti del narco messicano da un edificio della Guardia Republicana alla Cárcel Central. Di fronte ai silenzi del capo della Polizia che si giustificava dicendo che i trasferimenti non erano di sua competenza, Lackner decise allora di rilevare alcuni dettagli estremamente significativi per capire la gravità della situazione.

Secondo il racconto del magistrato, "il mafioso italiano comandava completamente all'interno del carcere" dove "si poteva muovere liberamente andando dove voleva". Gli esempi forniti da  Lackner sono stati molteplici: si va dalla rimozione di un funzionario sgradito, l'unico che gli aveva posto dei limiti fino alla "mircocorruzione" all'interno del carcere e la gestione dei prestiti su cui però non sono stati forniti ulteriori dettagli. 

Tra tutti i privilegi di cui godeva Morabito, Lackner si è soffermato in particolare sulla mancata registrazione delle visite, un'anomalia per un recluso di massima sicurezza capace di organizzare addirittura degli incontri tra la 'ndrangheta e il cartello messicano sotto la protezione della polizia uruguaiana. Su come sia potuto succedere tutto questo l'inchiesta non è riuscita a rispondere anche se il pubblico ministero nel suo intervento ha lasciato un messaggio molto chiaro: "L'inchiesta d'urgenza è stata una vera vergogna" ha affermato citando tra le altre cose la mancata segnalazione delle visite che Morabito riceveva in carcere da un cittadino russo che in seguito fu uno dei complici della sua clamorosa fuga.

Da poco più di un mese la conduzione dell'inchiesta su quella fuga è passata alla pm Silvia Porteiro che ha sostituito Lackener trasferito a un'altra unità della Procura. Attualmente, l'unico imputato è un tenente della Guardia Repubblicana che però potrebbe presto tornare al suo posto dopo la scadenze delle misure cautelari nei suoi confronti.

Da giorni il caso Morabito è improvvisamente tornato alla ribalta in Uruguay a causa della pubblicazione degli interrogatori che stanno provocando anche uno scontro all'interno del mondo politico. Il tutto è partito dalle dichiarazioni desecretate di Layera che aveva chiamato in causa l'allora Ministero dell'Interno (sotto il governo del Frente Amplio, oggi all'opposizione) nei trasferimenti del narco messicano. Intanto, la politica parla sempre più insistentemente della necessità di una commissione parlamentare di inchiesta per cercare di far luce su uno degli episodi più bui della storia recente dell'Uruguay su ci sono ancora troppe ombre.