di Anonimo Napoletano

C'è un indicatore che fotografa con grande esattezza non soltanto lo stato del Paese ma soprattutto la strada che l'Italia prenderà nei prossimi dieci anni e forse più. Parliamo delle sue scuole, in particolare delle secondarie superiori, e degli indirizzi di studio che, finita la frequenza obbligatoria, i nostri ragazzi decidono di intraprendere. A dare un'occhiata alle statistiche fornite dal ministero dell'Istruzione per l'anno scolastico che verrà (le iscrizioni alle superiori per il 2023/24 si sono chiuse lo scorso gennaio), qualche dato appare eloquente. E forse preoccupante. Gli studenti italiani fuggono dal liceo classico. Quello che è stato per generazioni il corso di studi di punta del nostro sistema scolastico, quello, per intenderci, che forgiava la futura classe dirigente del Paese, oggi non attrae più i ragazzi (e di riflesso anche le loro famiglie, che un peso nelle scelte degli adolescenti lo esercitano comunque). Al punto che il liceo classico rischia di scomparire del tutto. E con esso tutto un sistema formativo fondato sullo studio di lingue morte come il greco e il latino, e di materie "forti" come la filosofia. Insegnamenti che probabilmente i giovani italiani del ventunesimo secolo reputano poco utili ad affrontare le sfide del futuro. Ma è proprio così?

Partiamo però dai dati ufficiali, nella loro crudezza.

Il liceo classico è stato scelto da appena il 5,8% dei giovani. E il suo è un declino che va avanti da anni in maniera piuttosto costante. Un anno fa gli studenti del classico erano il 6,2% del totale. Di questo passo tra sei anni gli iscritti al classico saranno meno del 3%, e a quel punto qualcuno potrebbe prendere in considerazione l'ipotesi di abolirlo del tutto. Con ciò che ne consegue per la formazione delle future classi dirigenti del Paese.

Va detto che complessivamente i licei in generale rimangono la scelta maggioritaria degli studenti, con una percentuale di iscrizioni pari al 57,1%, in crescita rispetto al 56,6% dell'anno precedente. Ma a ben vedere si tratta di un dato illusorio. La forte percentuale si spiega infatti col fatto che a istituti sempre più numerosi (e disparati) negli anni è stata concessa la denominazione di liceo. Se un tempo, infatti, esistevano solo il classico, lo scientifico e il linguistico, oggi ci sono i licei delle scienze umane (che sostituiscono il vecchio "magistrale" che formava gli insegnanti del futuro), i licei artistici, i licei musicali e coreutici, i licei ad indirizzo europeo e internazionale, e così via. Si fa presto ad arrivare alla  maggioranza degli studenti. 

Sempre restando nella grande famiglia dei licei, va segnalato che la parte del leone la fa lo scientifico (dove nella maggior parte dei corsi non si insegna più il latino) con il 26,1% degli iscritti (stabile rispetto all'anno precedente). Crescono il linguistico (7,7%) e quello delle scienze umane (11,2%). 

Fuori dai licei ci sono solo gli istituti professionali e gli istituti tecnici. I primi salgono dal 30,7% al 30,9%, mentre i secondi scendono dal 12,7% di un anno fa al 12,1%.

Tra gli istituti tecnici, il settore Economico cresce, dal 10,3% del 2022/2023 all'11,5%. In questo Settore, la scelta principale è quella per l'indirizzo "Amministrazione, Finanza e Marketing", preferito dall'8,7% delle studentesse e degli studenti, mentre il 2,8% opta per l'indirizzo "Turismo". Il Settore Tecnologico, scelto un anno fa dal 20,4%, quest'anno ha il 19,4% delle preferenze. Nel Tecnologico, gli indirizzi più gettonati sono "Informatica e Telecomunicazioni" (6%), "Meccanica, Meccatronica ed Energia" (2,8%) e "Chimica, Materiali e Biotecnologie" (2,4%).

Tra i professionali, gli indirizzi maggiormente scelti sono "Enogastronomia e Ospitalità Alberghiera" (4%), "Manutenzione e Assistenza Tecnica" e "Servizi per la Sanità e l'assistenza Sociale" (entrambi all'1,6%) e "Servizi Commerciali" (1,3%).

Sotto l'aspetto geografico, tre conferme per le Regioni con il maggior numero di iscrizioni a licei, istituti tecnici e istituti professionali. Anche quest'anno sono rispettivamente Lazio (69,7% per i licei), Veneto (38,8% per i tecnici) ed Emilia-Romagna (15,6% per i professionali). In Lombardia il classico ha avuto un vero e proprio crollo verticale: ormai lo sceglie solo il 3,7 per cento dei quattordicenni, mentre lo scientifico tradizionale perde consensi (11,7 per cento) a favore di quello con l'informatica al posto del latino (9,9 per cento). In Lazio, dove abbiamo visto che prevalgono i licei, il classico va ancora alla grande (9,2 per cento) così come lo scientifico tradizionale (22 per cento contro l'8,2 dell'opzione senza il latino). 

Anche questi dati regionali la dicono lunga sulle aspettative future delle singole regioni, con il nord più a vocazione tecnico-professionale, il centro e il sud con più attenzione ai corsi di studi a vocazione generalista e tradizionale. 

Che lettura dare di questi dati? Secondo Paola Spotorno, docente e esperta di tematiche legate alla scuola, il crollo del liceo classico si spiega col fatto che quel corso di studi è particolarmente complesso: «gli iscritti calano e non perché il greco o il latino non vadano più di moda o non aiutino a trovare un lavoro, anzi, stimolano la logica e la capacità di risolvere problemi, ma perché queste materie di indirizzo impongono agli studenti  uno studio costante e  rigoroso. Il liceo scientifico invece vede un boom di iscritti perché sul nucleo fondante delle materie scientifiche ha saputo diversificare la suo offerta: scientifico tecnologico, sportivo delle scienze applicate dove non si studia il latino e risulta così più attraente per ragazzi, prevalentemente maschi, che magari credono di passare così meno tempo sui libri».

Insomma, la percezione comune è che al classico si sgobbi di più e, tutto sommato, su materie che sembrano avere minore connessione con il mondo contemporaneo, un mondo a velocissimo tasso di trasformazione che si trova nel bel mezzo di una rivoluzione digitale di cui ancora non comprendiamo gli esiti futuri e le possibili implicazioni. Ma è proprio qui che sta il problema. La fuga dal classico, probabilmente sostenuta dalle famiglie, rappresenta un pericolo per i giovani e quindi per il futuro del Paese. Infatti, la tendenza alla specializzazione e all'approfondimenti di materie tecniche, agganciate sempre più alle possibilità di sbocco professionale, allontanano i ragazzi da un metodo generale di ragionamento e di soluzione dei problemi che permette una flessibilità mentale enormemente maggiore, l'unica capacità, a ben vedere, che rende possibile affrontare al meglio sfide nuove e inimmaginabili come quelle che l'evoluzione tecnologica certamente imporrà. In sostanza, imparare a risolvere una traduzione dal greco antico o dal latino, come pure lo studio della filosofia, della letteratura antica, della storia, abituano la mente ad affrontare con metodo e razionalità i problemi più ostici e sconosciuti. Molto più di quanto faccia un corso di studi che insegni a potare le viti, servire al ristorante o gestire la contabilità aziendale. Una società che dimentica tutto questo e preferisce le specializzazione fino dalla giovane età dell'adolescenza quale futuro prepara per se stessa? Probabilmente avvererà la profezia che fece negli anni '60 del secolo scorso Ennio Flaiano, quella di una società in cui «anche il cretino è specializzato».