di VINCENZO VITA

La televisione del futuro. Le prospettive del mercato televisivo nella trasmissione digitale (a cura di Fernando Bruno, Vincenzo Lobianco, Antonio Perrucci, Augusto Preta. Introduzione di Franco Bassanini e conclusioni di Enzo Cheli, Bologna, ed. il Mulino, 2023, pp.642).

Sono in corso le presentazioni pubbliche del prezioso volume della Fondazione Astrid.

È un manuale fondamentale per chi voglia orientarsi nella variegata cartografia dei processi crossmediali in corso e prossimi venturi.

Si tratta di un testo assai articolato, che percorre via via i tornanti dell’evoluzione tecnologica nel transito tra età analogica e ambiente digitale, toccando poi scenari e criticità, nonché i profili di policy.

I primi capitoli hanno un un rigore non sempre presente in simili analisi, spesso relegate ad approfondimenti meramente specialistici o a rappresentazioni enfatiche della rivoluzione in atto.

Nelle densissime pagine dedicate all’argomento, invece, non si nascondono i problemi scaturiti dalle tappe di un passaggio in cui -dall’avvio nel 2008 dello spegnimento (a puntate, piuttosto che in una sola notte come avvenne nella ben più grande America di Obama) dell’analogico e l’accensione dell’apparato numerico- la strada è stata lastricata da problemi numerosi.

La riduzione della banda 700 MHz nello spettro dedicato alla televisione per facilitare l’evoluzione della telefonia cellulare alle prese con l’avventura del cosiddetto 5G ha reso inevitabile la compressione delle bande di trasmissione e, quindi, l’adozione degli standard digitali DVB-T e in seguito DVB-T2.

La premessa inevitabile per simile percorso erano l’adozione di nuovi apparecchi atti al salto tecnologico o, al più, il ricorso a decoder capaci di adeguarsi pur con i vecchi schermi.

In verità, dietro tutto ciò si cela un pezzo rilevante del «caso italiano» imperniato sulla antica regina dei media.

La corsa alla televisione di nuova generazione in Italia è stata declinata secondo esigenza extra-mediali, essendo stata immaginata una tecnica così evolutiva non come opportunità per intrecciare i diversi strumenti comunicativi a mo’ di un moderno esperanto, bensì come moltiplicazione dei canali onde evitare qualsiasi rischio di normativa antitrust.

La mancanza di una diversificazione dei mezzi trasmissivi della televisione– il cavo rimase appannaggio della telefonia- fece seguire al monopolio il duopolio di Rai e Fininvest. Simile dinamica precluse una vera concorrenza, portando ad una crescente omologazione dei contenuti veicolati.

Non solo. Simile sbilanciamento pantelevisivo contribuì a bloccare l’evoluzione del sistema, frenando le alternative. Il ricorso alle fibre ottiche fu a lungo bloccato e il satellite di diffusione diretta del segnale per il video non divenne una vera opportunità.

Ecco perché la transizione digitale fu un territorio conflittuale e irto di problematiche, a partire dalla necessità di cambiare il parco dei televisori a fronte di una modesta presenza della banda larga e ultralarga, nonché di una inquietante arretratezza (maglia nera in Europa) delle competenze digitali.

Il volume spiega con precisione una storia che non è solo tecnica, essendo -anzi- intrisa di politica.

La mancanza di un corpo di regole capace all’origine del processo di vincolarlo a principi aperti e pluralistici ha segnato la vicenda, arrivando a condizionarla persino ora.

Il libro, accurato e analitico, suggerisce strade opportune per la domestication delle modalità progressive del consumo: da una struttura di facilitazione della distribuzione (Content Delivery Networks- CDN), ad una APP che faciliti la fruizione.

Si è già determinato il sorpasso, infatti, della smart tv rispetto allo schermo costruito sull’approccio lineare e legato alle griglie del palinsesto. Del resto, le frequenze digitali cesseranno una breve e forse esageratamente voluta vita attorno al 2032.

Nelle dense pagine si trovano riflessioni impegnative e persino inquietanti sui rischi di ulteriori pericolosi digital devide, essendo ancora tutt’altro che compiuta la transizione. Che si determini una sorta di società dei due terzi come annota Fernando Bruno è allo state dell’arte purtroppo verosimile.

Il volume non manca di addentrarsi nei necessari mutamenti delle culture giuridiche, per rispondere ai quesiti che ci pongono tecniche lontane dalle certezze analogiche. Ne scrivono Franco Bassanini nell’introduzione ed Enzo Cheli nelle conclusioni, con una accurata rassegna di ciò che bolle in pentola in Europa che si trova in un apposito capitolo.

Non si sfugge neppure all’attualità stretta: la crisi del servizio pubblico radiotelevisivo e l’urgenza di una specifica riforma della televisione, o la vecchiezza della disciplina del 2000 sulla par condicio.

Ma qui servirebbe un volume numero due. E un terzo, magari: su ciò che ne è del messaggio, al di là del mezzo.