di FRANCO MANZITTI

Evviva la fiction che ha celebrato la fantastica storia di Goffredo Mameli e dell’Inno da lui scritto prima di morire in battaglia. La produzione televisiva in due puntate ha riportato Genova e la sua storia così intensa alla ribalta in un modo che la fa risaltare diversamente dalle comunque utilissime serie tv degli ultimi anni. L’emozione di scoprire le origini del “Canto degli italiani”, scritto da quel ragazzo genovese, destinato a morire a 22 anni, è forte anche perché quelle parole e quella musica, scritte nel 1847, negli ultimi anni sono diventate molto più popolari anche grazie alla visibilità dei campioni dello sport che cantano quando la bandiera italiana viene issata dopo una vittoria o prima delle partite delle nazionali, con un coinvolgimento crescente.

Insomma Genova s’è desta ancor di più, grazie alla storia dell’inno e delle sue origini eroiche. Le sequenze che raccontano la prima volta che venne cantato da 30 mila genovesi in marcia dall’ Acquasola al Santuario di Oregina, un corteo più politico che religioso, testimoniano e sottolineano il ruolo della nostra storia nella costruzione dell’Unità.
Quindi grazie per la fiction, pur con tutti i suoi difetti ed errori, che fa scoprire sopratutto alle nuove generazioni da dove veniamo, quanto sangue, quanto coraggio è costato fare l’Italia e che da alla Superba il ruolo giusto tra Mazzini, Garibaldi e il ragazzo Mameli.

Ma non si poteva sottolineare nell’esattezza della ricostruzione un po’ meglio la genovesità dei protagonisti nella loro interpretazione? Riccardo De Rinaldi Santarelli, l’attor giovane che fa Mameli, non sfiora mai l’accento genovese e non parliamo di Nino Bixio, che parla con chiaro accento calabrese, a noi molto caro, ma non corretto per il personaggio.
Mentre la cocina piemontese risalta con forza quando la scena si sposta sui protagonisti interessati dalla vicenda, a Torino o fra le truppe savoiarde, Genova non si sente “suonare” neppure quando i ragazzi ricordano Balilla e lanciano il suo celebre grido, che più genovese di così non si potrebbe. Che l’inse...

Saranno dettagli, ma contano. E lasciamo stare il resto della fiction, le imprecisioni non solo storiche, magari dettate dalle esigenze tv, che deformano per esempio la storia d’amore tra Goffredo e la marchesina Geronima Ferretti. Un po’ tutte le ricostruzioni ambientali di interni ed esterni appaiono approssimate e quella Genova è raramente riconoscibile. Ma pazienza.

L’importante è che una figura quasi sparita o sottovalutata come quella di Mameli, con il suo Inno, sia stata rivalutatae fatta conoscere al grande pubblico insieme a quella Genova cruciale nella costruzione del Paese, crocevia di politica, ribellioni, moti, guerra e perfino canti identitari. Poi verrà Garibaldi, che parlava in genovese stretto e speriamo che lo ricostruiscano anche con questo connotato, oltre che nel ruolo di grande comandante d’armi.

Intanto l’Inno, che ci aveva messo 70 anni a passare da “provvisorio”, come lo avevano definito i padri costituenti, a definitivo con una legge del 2017, nella quale ha messo lo zampino anche un ligure, come l’allora senatore Luigi Grillo, è stato raccontato nella sua genesi. E ora quando lo vedremo cantato sulle labbra dei campioni sportivi, bene o male, con passione o con sufficienza, con quelle frasi anche un po’ ermetiche “stringiamoci a coorte”, sapremo e sapranno tutti da dove viene. Belin da Zena.