Per alcuni è stato un esempio di tolleranza, per altri un traditore. La figura dell’ex vicepresidente della Repubblica Hugo Batalla ha diviso profondamente l’Uruguay nei decenni passati ma oggi il clima pare abbastanza diverso.

La storia di Hugo Batalla inizia nel 1926 a La Teja, quartiere operaio di Montevideo, dove cresce all’interno di una famiglia di emigrati italiani: il papà si chiama Felice Battaglia ed è un calzolaio calabrese originario di un paesino dell’Aspromonte chiamato Laganadi, la mamma Herminia Parentini, è figlia di siciliani. Nel registrare il neonato, all’anagrafe di Montevideo sbagliano a scrivere il cognome che resterà per sempre Batalla. Con l’Italia il legame è sempre molto forte come dimostrano le sue molteplici onorificenze: commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, calabrese illustre nel mondo e cittadino onorario di Laganadi.

Oltre al continuo impegno politico, Hugo Batalla diventa un riconosciuto avvocato particolarmente attivo durante gli anni bui della dittatura militare che subisce l’Uruguay. In questo periodo difende con coraggio e tenacia diversi prigionieri politici -tra cui esponenti di primo piano della sinistra, Líber Seregni e Raúl Sendic- ottenendo le antipatie dei militari e arrivando a rischiare la propria vita.

Lunga e tortuosa è la sua carriera politica cominciata all’interno del Partido Colorado e proseguita nel 1971 con il Frente Amplio, la nuova colazione di centrosinistra, con cui fa sempre fatica a convivere. In prima fila al ritorno della democrazia negli anni ottanta, dopo numerose rotture Batalla decide di tornare clamorosamente con i “colorados” nel 1994 correndo (e vincendo) alle presidenziali come vice di Julio María Sanguinetti. In una nazione in cui l’appartenenza politica è molto sentita, questa scelta viene considerata dai “frenteamplisti” come un tradimento, una vergogna. È in questo clima che -nel 1995- è costretto ad abbandonare il suo quartiere natale, la rossa La Teja che lo ripudia indignata per il cambio di casacca. Muore nel 1998 per un tumore ai polmoni mentre esercitava l’incarico di vicepresidente della Repubblica.

Oggi, oltre un ventennio dopo il traumatico abbandono della casa natale, la famiglia Batalla vive una sorta di riconciliazione con il quartiere: recentemente il Liceo 47 di La Teja è stato rinominato “Doctor Hugo Batalla” dopo una raccolta firme -e una legge approvata all’unanimità dal Parlamento- che chiedeva di rendere omaggio a uno dei figli più illustri di questo sobborgo. “Cercavamo qualcuno che potesse rappresentare degnamente La Teja” hanno spiegato i responsabili del centro educativo nella loro richiesta. “In lui abbiamo trovato una figura di primo piano e per noi adesso è una grande soddisfazione avere un nome anziché un numero”.

“Anche per noi questa decisione rappresenta un grande onore, un grande orgoglio” commenta a Gente d’Italia emozionata Laura Batalla, figlia di Hugo, fiera cittadina di La Teja da tre generazioni: “In questo quartiere si stabilì mio nonno quando arrivò dall’Italia, mio padre visse qui quasi tutta la sua vita e rivendicava continuamente questa appartenenza. Spero che i ragazzi oggi possano avere l’esempio di un uomo buono, onesto, coraggioso e conciliatore. Per me che ho lavorato tutta la vita con gli adolescenti, questo è un ulteriore motivo di gioia”. Nel descrivere la carriera politica del padre, Laura elogia le capacità di dialogo e lo spirito di compromesso poco comuni sia ieri che oggi: “Con il suo esempio ha dimostro che è possibile fare politica basandosi sull’onestà e sulla ricerca del compromesso anziché lo scontro. Era in grado di nutrire grande empatia verso gli altri condividendo con loro le sofferenze. Alla base delle sue azioni c’erano due parole che oggi sono praticamente passate di moda, tenerezza e amore”.

“Un omaggio assolutamente doveroso e meritato” commenta Conrado Rodríguez deputato del Partido Colorado di origine italiana che ricorda Batalla come un “gran repubblicano, con spirito riformista al di là dell’appartenenza a un partito”. Una storia, la sua, da contestualizzare nell’Uruguay del secolo scorso, “una nazione con grandi opportunità che integrava gli immigrati e i loro figli nella società”.

Matteo Forciniti