Il 6 aprile del 1520, venerdì Santo, alle tre di notte moriva Raffaello Sanzio, dopo giorni di malattia iniziati con una febbre continua ed acuta, causata probabilmente da eccessi amorosi. Quindi siamo nel pieno delle "raffaelliadi" per i 500 anni dalla morte di questa leggendaria personalità artistica. D’altronde le celebrazioni dei centenari servono a ricordare e ad approfondire la conoscenza di chi ha lasciato un segno di cui, ancora oggi fortunatamente, riusciamo ad assaporarne le conseguenze. La morte dell’artista è ricordata da tutti i contemporanei che ne hanno scritto, come una tragedia senza precedenti, tramandandoci la visione comune di un Raffaello considerato divino tanto da essere paragonato, già in vita, a un nuovo Cristo. Come lui, era morto di venerdì Santo ed in più, la data della sua dipartita coincideva con la sua nascita avvenuta 37 anni prima, il 6 aprile del 1483.

Da Marcantonio Michiel, ad Antonio Marsilio, a Pandolfo Pico della Mirandola, a Pietro Paolo Lomazzo tutti ebbero parole piene di cordoglio per la perdita dell’artista. Tra questi, Giorgio Vasari, che della morte di Raffaello scrisse: "...era persona molto amorosa affezionata alle donne e ai diletti carnali...Faceva una vita sessuale molto disordinata e fuori modo...dopo aver disordinato più del solito tornò a casa con la febbre...". Quello che mi incuriosisce è questo connubio tra il "divin pittore" e gli eccessi amorosi. Certamente la sua carriera artistica dimostra l’innata capacità nell’esprimere il suo modo di fare arte, da cui scaturisce certamente, l’appellativo "divino". Sin dagli esordi nella raffinata corte di Urbino, Raffaello dimostra come sia superiore al suo maestro Perugino. E a soli 17 anni e già maestro d’arte e realizza lo spettacolare Sposalizio della Vergine oggi alla pinacoteca di Brera.

Il suo capolavoro giovanile arriva solo tre anni dopo, quando per la vedova Baglioni dipinge La Deposizione, oggi alla Galleria Borghese. Qui vi arrivò quasi un secolo dopo per volere del cardinale Scipione Borghese, che la fece portare via segretamente dalla chiesa di San Francesco al Prato, a Perugia, dove fra l’altro già si trovava da qualche anno la Pala degli Oddi, sempre di mano del pittore urbinate. La svolta della sua carriera artistica arriva quando viene chiamato da Papa Giulio II, il quale aveva intenzione di rinnovare la città di Roma grazie al contributo di artisti e architetti come Bramante e Michelangelo. Siamo nel 1509. Il primo incarico di Raffaello a Roma è la decorazione degli appartamenti vaticani insieme ad una serie di commissioni interminabili da parte sia del Papa che di personaggi legati alla sua corte. Segue poi la nomina a Prefetto alle antichità romane, ovvero, a soprintendente di Roma e inizia, primo nella storia, ad occuparsi della protezione e conservazione delle opere e dei monumenti antichi nella capitale, ponendo le fondamenta di quei principi che sono oggi alla base della valorizzazione e della tutela del nostro patrimonio culturale.

Oberato di lavoro, organizza la sua bottega, e, anche in questo, è il primo imprenditore di un’impresa culturale, in senso moderno, riuscendo ad impostare il suo lavoro in team con scultori, architetti e artigiani di ogni tipo, in modo da soddisfare qualsiasi richiesta e di produrre un numero indefinito di opere. Un personaggio così non poteva che attirare notevoli invidie. Appare ancor più dubbia, allora, la sua morte improvvisa per "eccessi amorosi", nel fiore degli anni e della produzione artistica. Tra l’altro pochi mesi prima della sua scomparsa Raffaello ritrae una ragazza nuda, che cerca di coprirsi il seno con un velo trasparente, a tutti nota come la Fornarina da sempre ritenuta la sua musa ispiratrice. Margherita Luti, figlia di un senese di professione fornaio, ha suggestionato l’immaginario collettivo che la ritenne per molto tempo l’unico amore del pittore e che, tra l’altro, alla morte dell’amato si ritirò in un convento.

Le cause dunque della morte improvvisa, anche dalle cronache del tempo, non risultano affatto chiare. In questi giorni di letture mi sono divertita a trovare qualche supposizione diversa. In quel periodo il clima a Roma era estremamente competitivo e spesso non esistevano mezze vie per raggiungere i propri obiettivi. Baldassarre Peruzzi, ad esempio, architetto della basilica di San Pietro, morì avvelenato (1536), secondo quanto ci riporta il Vasari. Chi poteva, dunque, essere ostacolato nella sua carriera da Raffaello? A Roma era giunto da Venezia, il pittore Sebastiano del Piombo, al seguito del ricchissimo banchiere senese Agostino Chigi. Questi si era fatto costruire una sontuosa villa proprio dall’architetto Baldassarre Peruzzi. La decorazione pittorica della villa, detta in seguito "della Farnesina", venne affidata ai migliori artisti del tempo tra cui Raffaello e Sebastiano del Piombo. I due furono messi in competizione nella sala di Galatea al pianterreno. Siamo intorno al 1512. Quattro anni dopo il cardinale Giulio de' Medici (futuro Clemente VII) commissionò due pale d’altare agli stessi artisti: a Raffaello la Trasfigurazione (oggi ai Musei Vaticani) e a Sebastiano la Resurrezione di Lazzaro (oggi alla National Gallery di Londra).

Nei documenti esiste una fitta corrispondenza tra Michelangelo e il suo amico Leonardo Sellaio, su questa storia da cui se ne deduce che fu una competizione particolarmente viva e che durò anche diversi anni. Tanto che, mentre Sebastiano del Piombo espose la sua pala, per la prima volta, nel 1519, Raffaello non riuscì a terminarla. Vasari ci racconta: "gli misero alla morte, nella sala ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il cardinal de' Medici: la quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ognuno che quivi guardava". Nel 1722 il corpo di Raffaello, sepolto su sua stessa volontà nel Pantheon, venne riesumato quasi intatto. Se fosse stato avvelenato con l’arsenico questo avrebbe potuto preservarlo dal decadimento. Ma sono solo supposizioni.