Rischia di durare una manciata di giorni il patto tra Pd e M5Stelle. Subito, cominciano i primi scricchiolii, le prime divisioni. Rimpasto sempre in cima ai pensieri della politica. Si litiga su tutto. Non su problemi di poca entità, ma su questioni importanti. Ad esempio, sul Mes, il fondo salva-stati. Possono arrivare dall’Europa 36 miliardi da impiegare per la sanità.

Sacrosanti in un periodo come questo quando il virus si è riaffacciato prepontemente alla ribalta. Una somma che dovrebbe servire qualora il Covid-19 avesse una impennata in autunno. Nicola Zingaretti, il leader del PD, è categorico: "Sarebbe da folli respingerli. I 5Stelle debbono convincersi che sono assolutamente necessari". Da questo orecchio, però, i Grillini non ci sentono. Sono contrari a "questa elemosina", perché nessuno deve imporre all’Italia come e dove spendere il danaro. "Non dobbiamo sottomettercI a nessuno, siamo liberi di fare le nostre scelte". Nella polemica interviene pure Domenico Del Rio, il capo- gruppo alla Camera dei Dem, il quale sostiene che non ci sono alternative: "Questi miliardi li dobbiamo prendere subito, i Grillini se ne facciano una ragione".

Non è l’unico punto che divide le due forze politiche. Appena tre o quattro giorni fa avevano sbandierato il loro accordo. Sarebbe diventato fondamentale per la ripresa economica del Paese. "I veri riformisti siamo noi" aveva ripetuto più volte il leader del Pd.

E immediatamente dopo Luigi Di Maio gli aveva fatto eco: "Siamo maturi per cambiare. Ora i nostri sindaci avranno una seconda chance per vincere la battaglia". Sembrava fatta: l’asse concordato tra i due partiti (ora i 5Stelle non possono definirsi diversamente) voleva significare anche un patto per le regionali d’autunno. Insieme per un obiettivo: il 4 a 2 come auspicava lo stesso Zingaretti. Invece, dalle ultime affermazioni pare che l’accordo sia come svanito. Anche nelle due regioni (le Marche e la Puglia) dove ogni problema sembrava essere stato risolto, l’"embrasse nous" è sparito di colpo. Si discute ancora su chi candidare, come governatore e i nomi si sovrappongono senza una soluzione. Ragione per cui molti commentatori odierni si pongono due domande. La prima: che tipo di partito è oggi il Pd se partiamo da Veltroni per arrivare ai Grillini?". La seconda: la rivoluzione nei pentastellati che cosa comporterà?

C’è chi non vuole più Casaleggio come padre padrone del Movimento. E chi invece sogna un nuovo direttivo, una segreteria e un comitato esecutivo che prenda decisioni immediate quando c’è da prenderle.

È in questo ginepraio che torna di prepotenza alla ribalta il tema del rimpasto. Mattarella non lo vuole, ritiene che dopo questo governo Conte bis non ci siano che le elezioni. Ma Italia Viva e lo stesso Pd sono di diverso parere. Renzi perché ritiene di poter racimola- re qualche ministro e pensa come sempre a Maria Elena Boschi. I Dem recalcitrano, Tra gli esponenti di spicco, due sono rimasti a bocca asciutta: Domenico Del Rio e Andrea Orlando che non vedono l’ora di poter tornare a sedersi su una poltrona di governo.

"Tirano solo a campare", tuona la destra. "L’attuale è un governo di incapaci e di dilettanti". Nel mare delle divisioni i problemi restano: soprattutto quello della scuola che a meno di un mese dalla ripresa delle lezioni vagola nei sì e nei no del ministro Azzolina e degli operatori.

I presidi paiono i più imbufaliti. "Se questa rimarrà la situazione a metà settembre rischiamo di rimandare gli studenti a casa".

Bruno Tucci