Il sorriso contagioso e disarmante, lo sguardo di gioia, da eterno adolescente sfrontato e gli occhiali tondi, l’immancabile taglio di capelli da ragazzo e la ciocca bianca segno raffinato del passare del tempo, i fiori e i colori e il suo gusto festoso della vita. Scompare ad 81 anni il più parigino dei giapponesi, lo stilista che ha riempito di vita e di rosso, rosa ed arancio la Parigi grigia degli anni ’60. Un’infanzia non così felice, ma era l’immediato Dopoguerra per il Giappone, quinto di sette figli, di genitori che governavano tradizioni e una sala da thé. “La mia prima scoperta a dieci anni venne dal cinema ed era l’esistenza del letto, chiesi a mia madre di poterlo sistemare al posto dei futon“, raccontó in una intervista.

Nato il 27 febbraio 1939, a Himeji, vicino ad Osaka, s’imbarca il 30 novembre del 1964 su una nave a destinazione Francia e Parigi. Un viaggio di tappe, di odori, tinte e suggestioni che lo sbarcherà a Marsiglia nel 1965, e poi finalmente a Parigi il sogno, la moda, il glamour. Lui non parla una sola parola di francese. Il 14 aprile 1970 inaugura in passage Vivienne la sua prima boutique, così piccola che si trasforma in un marchio Jungle Jap. Oriente ed Occidente, il fascino della metropoli francese che si specchia nella purezza nipponica, con un pizzico di spensieratezza.

È l’inizio della consacrazione, per un nuovo stile esuberante, giovane, avventuroso e poetico: la moda di Kenzo è policromia, disegno e soprattutto gioco e festa. Una memorabile, è il 1977, lui sfila al mitico studio 54 di New York, una passerella strepitosa, la voce è quella di Grace Jones, ci sono Jerry Hall, Pat Cleveland, Donna Jordan e c’è l’euforia da leggenda. Nel 1990 muore il suo amico Xavier de Castella, il tempo si ferma doloroso fino al 1993, quando tutto diventa LVMH. Sei anni dopo la collezione definitiva, ma per lui il resto continua, nella bellezza.

Kenzo appartiene per sempre al garbo elegante di un mondo molto speciale, capace di regalare classe e perfezione, quell’armonia che sa di potersi permettere la trasgressione, è quel fascino intramontabile del viaggio coniugato alla scoperta, al gesto leggero, al disegno discreto (bellissimo il suo libro di bozzetti pubblicato lo scorso anno) come per il tempo ritrovato di chi resta o la toccante e malinconica fantasia di chi vuole ritornare com’è partito, su un piroscafo, il suo ultimo desiderio.